Ora vi spiego io “mafia capitale”. In quattro(mila) parole.

 

Francesco Natale

 

La Politica è una roba strana. Semplice e strana ad un tempo, meglio. In primo luogo perché non ammette la categoria del “vuoto”: quando un vuoto si crea quello spazio una volta “pieno” non viene disgregato, impachettato su sé stesso e quindi archiviato, ma sarà comunque destinato ad essere riempito da qualcosa. Solitamente, salvo rarissime eccezioni, sarà riempito da qualcosa di esponenzialmente peggiore rispetto al contenuto precedente.

In seconda istanza perché in Politica, a forza di volere ad ogni costo la cosa sbagliata (e sbagliata in maniera terminale, abominevole, aberrante) si finisce prima o poi per ottenerla. Salvo poi non accorgersi che il “voluto, fortissimamente voluto” di un tempo è oggi causa primaria di fenomeni devianti oltre misura di fronte ai quali tendiamo a mostrarci stupitamente offesi, spiritualmente feriti e, soprattutto, Dio maledica questa fottuta parola, “indignati”.

Come se una responsabilità diffusa e parcellizzata in riferimento a fenomeni sul genere “mafia capitale” non fosse, assertivamente od omissivamente, anche e soprattutto nostra. Di tutti noi o quasi (mia no, ovviamente: voi arrangiatevi).

Anticipo qui la sintesi finale e mi accingo quindi a sviluppare notevole sforzo maieutico auspicando così che voialtri, teste dure, capiate qualcosa.

Abbiamo preteso ad ogni costo la decapitazione del sistema partitico in Italia e l’abbiamo ottenuta, esultando come i Gipsy Kings dopo il contratto con Madonna; abbiamo preteso “pulizia” e, cazzo, l’abbiamo davvero ottenuta. Annientata completamente la funzione di filtro/cuscinetto del Partito vecchia maniera abbiamo creato un vuoto. Puntualmente riempito dai vari Buzzi, Carminati, Odevaine e compagnia o da loro consimili.

Come sempre accade quando ci si lega mani e piedi, adoranti e sbavanti, a quanti prospettano, fraudolentemente e pro culo proprio, la perfezione su questa Terra, siamo finiti in un mare di merda sconfinato.

Ce lo meritiamo. Punto.

Fertilizzati dalla retorica da puttana marcia su “corruzione”, “tangenti”, “maxitangenti”, Ferruzzi, Enimont, Cardini, Craxi, “valigette”, “fondi neri”, “Milano da bere”, Pillitteri, Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa, “teste omega”, travagli quotidiani, santori settimanali, monetine lanciate all’Hotel Raphael e nodi scorsoi sbandierati in Parlamento, abbiamo davvero ottenuto un bel risultato: ovvero lasciare campo completamente libero a grassatori da strada, a “bravi” di manzoniana memoria, a “chuligani” beceri ma furbi, furbissimi ai quali nessuno più è stato in grado di opporre pur tenue resistenza.

Perché noi altri le cose o le facciamo bene o non le facciamo punto.

Quindi dopo aver smantellato dalle fondamenta l’unico sistema ha SEMPRE funzionato (con le fisiologiche eccezioni del caso: NOI non crediamo alla possibilità del mondo perfetto “qui e ora”), abbiamo pensato bene di ribilanciare l’assetto con l’iperplasia legislativa, con leggi, leggine, regolamenti e “codici etici”, con il commissariamento giudiziario delle istituzioni politiche, destinati ad appagare l’ego dei moralizzatori d’assalto.

“Ora si che tutto funziona”, si sarà detta la masnada di casi clinici, sessualmente disturbati, robespierriani fuori quota, fautori della laicità, imbonitori televisivi, nuovi sinedriti e vecchie baldracche malvissute alle quali il neomoralismo ha ricostruito un imene ideale e virtuale.

Un capolavoro, insomma.

Con la “moralità” imposta per legge abbiamo fatto largo alla peggior delinquenza che la penisola abbia mai subito dai tempi dei Lanzichenecchi.

Ma che c’entra il vecchio sistema partitico, chiederete voi amati due o tre lettori, teste di granito che non siete altro?

Semplice: al bel tempo che fu, in prima istanza, taluni soggetti nemmeno erano ammessi all’anticamera dell’usciere di terza classe aggiunto e supplente di un consigliere provinciale. Figuriamoci se potevano vantare amicizie parlamentari o ministeriali.

Non tanto e non solo per una questione di nebulosa “onestà”, ma per una questione di stile in primo luogo, e di autoconservazione in secondo luogo.

Al di là dei borborigmi sbavanti di qualche complottista “a la page”, esisteva un tempo una netta linea di cesura tra classe politica e “mondo di mezzo”, più correttamente “demimonde”. E la prima nemmeno considerava esercizio sensato il disprezzare il secondo: semplicemente neppure lo considerava. Reietti abbandonati al loro mondo di malaffare, stigmatizzati e odiati dal popolo, confinati nel loro “corral” di bestie men che umane, condannati ad una esistenza infame in perenne latitanza, spesso graziati da una pallottola targata Scelba (o chi per lui, Sant’Uomo e Galantuomo).

Oggi invece, almeno in parte significativa, questi reietti infami ce li ritroviamo ad amministrare punti chiave del parastato, benvoluti ed osannati dal popolino che, grazie a coloro, lavora o scuce qualche ghello all’odiato Stato, invitati a cene di gala, invitati a pontificare in TV sul “ruolo sociale delle cooperative” con lacrimoni di circostanza che un coccodrillo scapperebbe sconfitto a coda levata, corrivi a capiclan Rom dell’Anagnina (che, sarebbe il caso di dirlo una volta per tutte, sono ALTRA cosa rispetto ai Rumeni: con buona pace dei TG nazionali che li considerano razzialmente fungibili…), corrivi a ‘ndrangheta e criminalità organizzata internazionale: un pozzo nero del quale non si riesce ancora a sondare il fondo.

Ribadiamolo ancora qui, che non fa mai male: ogni vuoto creato in politica è destinato, SENZA eccezioni, ad essere riempito.

Il punto caldo è: come mai è stato riempito così male?

Scendiamo fenomenologicamente nel dettaglio.

Della decapitazione del sistema partitico abbiamo già accennato: ma cosa è successo dopo? Ovvero: come sono mutati, e in maniera palingenetica, i parametri di selezione della cosiddetta “classe dirigente”?

Ebbene, in peggio senza dubbio alcuno, sia per quanto riguarda gli “homines novi” di centro-destra che per quanto riguarda i conservatori paleolitici di sinistra.

Un tempo il Partito Politico svolgeva, tra le altre cose, un ruolo sociale mirabile e fondamentale per il progresso del paese. La ramificazione in sezioni sul territorio fu felicissima intuizione, indipendentemente dal colore d’appartenenza: la sezione era luogo di dibattito, di studio, di confronto e, soprattutto, di selezione primaria della classe dirigente (nulla a che vedere con le fallimentari “elezioni” veltroniane: pura fuffa bastante al più a mandare in solluchero qualche direttrice di quotidiano). Non solo: per loro stessa natura esercitavano una funzione di controllo autonomo che nessuna legge o leggina sarà mai in grado di battere per efficacia e severità. Se hai il culo chiacchierato, per dire, col cazzo che ti facciamo consigliere comunale. E in un contesto di fortissimo decentramento, era molto semplice sapere nel dettaglio chi avesse o meno il culo chiacchierato. Ed un Congresso Nazionale, specie per chi ci arrivava forte di 200.000 tessere, era sempre un’ordalia dalla quale era facilissimo uscire con le ossa rotte. La mera ipotesi di ingerenza da parte di pendagli da forca in una macchina così ben congegnata era semplicemente surreale: sarebbero stati presi a calci nel culo dai militanti stessi ben prima di arrivare a mendicare (e ottenere!) benefici cardinalizi da parte di un Consigliere Regionale, come invece oggi è accaduto.

Con il “new deal” post manipulite tutto questo cessa di esistere da un giorno all’altro. Fine. Keine. Kaput.

Ma, per una volta ed una sola voglio dirlo, poi mi sciacquerò la bocca col Listerine, la responsabilità specifica della magistratura al riguardo fu limitata.

Il peggio, e in buona fede, ne sono convinto, ce lo regalarono il post-partito di sinistra e il non-partito di centro-destra.

Liquidiamo in due parole il primo: persa la sua funzione storica nel 1989 e incapace di dare realmente corpo alla “svolta della Bolognina” se non sulla carta l’ex PCI resta una ed una sola cosa. Apparato. Apparato puro. Un apparato sconfinato. Il mantenimento del quale comporta in re ipsa il reperimento di risorse sempre maggiori e, di conseguenza, la necessità di scendere a compromessi certamente non criminali, ma comunque ambigui, luciferini, diafani e impensabili anche solo in epoca Berlinguer.

L’abolizione de facto delle Province nonché il ridimensionamento in negativo di consigli e giunte comunali e regionali ha inoltre diminuito notevolmente la possibilità di accasamento per le seconde, terze e quarte file. Le quali, è comprensibile, il loro “posticino al Sole” pur lo volevano e lo vogliono.

Forza Italia, d’altro canto, nasce fin da subito come il partito più centralista della storia repubblicana. Un non partito para-stalinista, se vogliamo.

Le “sezioni” formalmente esistono ancora, ma sono in realtà dei soviet per il bel mondo che conta. Ci ho militato e lavorato per 15 anni, quindi lo so.

Il Cavaliere non si pone allora né si porrà mai, per tutta la sua non breve vita politica, la questione della “selezione della classe dirigente”. Non gliene frega un cazzo di niente: basta LUI da solo o, al più, la “classe dirigente” ce l’ha già fresca, pronta e formata nelle fucine di Fininvest/Mediaset. Non vuole assolutamente ritrovarsi rompicoglioni che dibattono in sezione, propongono mozioni, interferiscano sulle scelte arcoriane, svolgano REALMENTE ruolo di coordinamento e promozione, facciano campagne di tesseramento (una nota a margine che rende l’idea più di tanti sproloqui: con un contributo tessera di 100.000 Euro si aveva diritto a TRE cene – trecenetre- con il Coordinatore Nazionale, ai tempi Sandro Bondi, e con 500.000 Euro di versamento ad UNA cena -unacena- ad Arcore con il Cavaliere in persona. Domanda: è forse un Partito questo? Rispondetevi da soli cercando di non scadere in una giustificatissima volgarità da caserma…), e, più in generale, svolgano quel ruolo FONDAMENTALE che i “rompicoglioni” di sezione hanno sempre svolto durante la Prima Repubblica: toccare il tempo alla dirigenza e fare da custode ai custodi.

Ma, accidenti, in mezzo a questo nulla incarnato, in mezzo a questo vuoto pneumatico, il problema delle candidature comunque si pone, perché le liste per elezioni comunali, provinciali, regionali, nazionali vanno in qualche modo riempite.

In qualche modo, appunto. Abolita pressoché in toto la consultazione “popolare” a mezzo sezione, con uno di quei lampi di genio a cui il monodinasta di Arcore ci ha abituato, ecco che arrivano…I CASTING!

Si, avete capito bene: i casting. Come se un futuro assessore al bilancio dovesse partecipare all’Isola dei Famosi o a Voice of Italy. L’inesistenza pressoché totale di forzisti barbuti, da sempre orpello facciale detestato a morte dal Cavaliere (e dalla generalità dei “parvenù” meneghini, se è per quello…), la dice lunga al riguardo.

Un non partito quindi ove unici criteri di selezione residuale per i candidati sono: 1) La simpatia personale del Cav, ottenuta a mezzo casting o meno; 2) Il lavorare per una delle aziende del Cav; 3) L’essere “raccomandati” da uno degli amici del Cav; 4) In ultimo, aver militato nel PSI/PRI/PLI: qualcuno che capisse qualcosa e gli sistemasse formalmente il non partito ci voleva. Pochi, in verità, questi ultimi: i meno peggio, comunque.

Un casino epocale che ha contribuito, per svista in buona fede ribadisco, ad aprire le stalle ad ogni bue.

Perché come ben potete capire alla fine questa massa di plurigraziati abituati a brainstorming, mission e “gestione delle risorse umane”, i voti sul territorio dovevano pur andarseli a prendere in qualche modo.

Come fare quando, pur abituati a far tremar maestranze inarcando un sopracciglio, nessuna esperienza si aveva di comizio, di confronto, di dialettica vera, di elementare retorica che non riguardasse il “marketing”?

Semplice: condizionati da una vita alla “obbligazione di risultato” e al compiacimento pedissequo dell’uomo cui dovevano tutto e per il quale il fallimento non è un’opzione hanno accettato di buon grado l’apporto di “collettori di voti” senz’altro non criminali o necessariamente collusi, ma con altrettanta certezza ambigui, come minimo, nello svolgimento del loro ruolo intermediario.

Caso emblematico, tra i tanti, quello riguardante un ex Consigliere Regionale di cui non ricordo il nome inquisito per voto di scambio: avrebbe negoziato 4000 voti con un noto capoclan calabrese. Senza in nulla volerlo assolvere o giustificare, ma dove altro avrebbe potuto prendere voti un quasi perfetto sconosciuto catapultato in campo senza particolari cerimonie e senza alcuna esperienza specifica?

Con questo, per carità, ben lungi dal voler sottendere che i due suddetti partiti abbiano dolosamente perseguito un progetto criminale o siano stati in una qualche misura conniventi con realtà ripugnanti, vessatorie, delinquenziali.

Hanno tuttavia involontariamente, certo, creato l’humus ideale perché un ben specifico tipo di “demimonde” si infiltrasse pressoché indisturbato in taluni centri nodali.

Senza dimenticare due ulteriori fattori umani: quello della smisurata avidità di certuni singoli, per i quali l’appartenenza politica non conta nulla se non come trampolino di lancio verso ghiotte cataste di denaro, e, su un piano più sottile, insinuante e criminalmente intelligente, il fatto che Buzzi&C. abbiano sfruttato come strumento per illeciti guadagni le cooperative sociali, ovvero un “regno” intoccabile per l’Italia buonista e rincoglionita, una specie di “sancta sanctorum” sul quale, per communis opinio eunuchorum, ogni ipotesi d’ombra o malversazione era offesa da lavare nel sangue.

In conclusione, questo è il paradosso di fronte al quale una volta di più ci troviamo: abbiamo accettato, quando non apertamente voluto, una massa di regole, regolette, “commissioni etiche” da fare impallidire il MINCULPOP, censure ed autocensure, abbiamo accettato in nome della “legalità” limitazioni mostruose alla nostra sfera soggettiva, tali da compromettere irreparabilmente il patto sociale (dall’anagrafe tributaria unificata all’Azathoth impazzito di Equitalia), abbiamo subordinato l’esercizio di voto alla “patente di legittimità politica” attribuita dalle redazioni “engagé” di grido per poi ritrovarci un Paese impestato di criminali di bassa lega come mai, mai e poi mai ve ne furono in un passato tutt’altro che lontano.

Siamo o non siamo coglioni terminali?

E ora, tutti in devoto pellegrinaggio ad Hammamet, teste di cazzo: a dire una volta di più “PERDONO! Non siamo stati degni di te…”.

 

Ad maiora