Orchesse e sciacalli che applaudono ai funerali

Di Francesco Natale

Vedete, io vi vedo.

Nonostante la fatica e il voltastomaco che mi comporta, vi vedo.

Promotori di “flash-mob”, campioni di piagnisteo pur di avere 35 secondi di visibilità, cooperativi le cui “cooperative” non hanno mai fatto un cazzo se non prosciugare qualche ricchissimo finanziamento statale, strepitanti tribadi con una cattedra a Utrecht (il che, già geograficamente&storicamente, dice tutto. Ma proprio tutto).

Vi vedo.

Vi guardo.

Vi disseziono senza alcuna difficoltà, perché nel vostro Essere sub-umano siete perfettamente leggibili.

Il vostro obiettivo, infami orchesse e nefandi invertiti, è mettere le mani sui Bambini.

Non esiste lago di sangue troppo profondo che non siate disposti ad attraversare pur di metter le mani sui nostri Figli.

Ogni efferato omicidio che vede come vittima una Donna diventa pretesto.

Sfruttato, come una vincita al casinò, pur di promuovere la vostra abominevole agenda.

Nelle vostre scrivanie, come in quella di un notissimo trombato alle Elezioni Regionali qualche decennio fa, ci sono già pronte le liste.

Dei papabili di assunzione.

“Psicologi”, “consulenti”, “tecnici”, “esperti”.

Una masnada di parassiti che, tuttavia, siccome “tengono famiglia”, sono individuati come potenziale bacino elettorale inesauribile.

Ma c’è, ovviamente, qualcosa di più profondo.

Luciferino.

Demoniaco.

L’idea stessa che “lo stato”, e solo “lo stato” sia in grado di “educare”.

L’indegna polemica d’oggidì solo questo riguarda: denaro da un lato, potere dall’altro.

Queste colossali facce di merda il cui negletto culo travalica i limiti d’una povera sedia tra Parigi, Roma, la summenzionata Utrecht non vedono l’ora d’avere prebende e potere.

Prebende e POTERE.

Soldi.

E impunità nel determinare “l’educazione” dei nostri Figli.

Viene uccisa una ragazza?

Pronti a cogliere la palla al balzo.

Perché questo, esattamente questo diviene sublimazione e sintesi di vite non solo fallite, ma disgregate.

Non par loro vero di potersi vendicare.

Di poter finalmente dire “ORA tocca a me!”

Chi psicanalizza gli psicologi?

Non è dato di saperlo.

Così come i magistrati, i “filosofi”, i “virologi”, essi non rispondono a nessuno: libertà assoluta.

Indipendentemente dalle colossali cazzate che sparano.

O, nel caso dei magistrati, delle nefandezze che ingiustamente fanno subire a tanti, troppi consociati, compiacendosi del proprio assoluto arbitrio.

Ma veniamo ai Funerali del titolo.

Vedo voi.

Voi che applaudite di fronte ad una bara.

Vi piace il mogano forse?

A me si, ok, ma mi astengo dal recarmi in segheria col cazzo in mano ed i lacrimoni agli occhi per gratificare i legnaiuoli.

Quanto ci godete, nel far vedere quanto “soffrite”.

Amate i “gesti simbolici”, salvo poi doverli spiegare perché nessuno li ha capiti.

Vi smanacciate le pudenda sui “social” cercando d’esser più toccanti di Siffredi quando chiava o di Emily Bronte quando scrive.

Fate non poco schifo.

Perché in voi non c’è nessuna pudicizia, nessuna discrezione: il “dolore”, la “indignazione”, “l’odio” -merce rara che non andrebbe sprecata, per altro-, sono un condimento.

L’aceto balsamico che spruzzate sulla miseria inenarrabile delle vostre vite.

Dovete mostrare: o nulla siete.

Il ché andrebbe pure bene se foste musicisti (o Siffredi, ok…)

Voi mostrate la vostra “bravura” nel lacrimare a cose avvenute.

Come quelli che non poco tempo fa dimostravano quanto erano bravi a “stare a casa”.

Cosa vi costa, nel concreto, questo?

Nulla.

Stralabiate di “pikkoli anceli kaduti”, frasette da agenda smemoranda, “un po’dolce un po’ bastarda”, “sarai sempre con noi”.

Apparenza pura.

E non delle migliori.

Perché?

Perché io vi vedo.

Quotidianamente.

E SO che siete parte, se non origine assoluta del problema.

Interrogatevi, se ne avete il coraggio: quanti e quante di voi sanno dove trovare un grammo di cocaina se ne hanno voglia?

Quanti e quante di voi in nome di “consapevolezza” e “autodeterminazione” (parole che di per sé non significano assolutamente un cazzo) “lasciano correre”, voltano la faccia dall’altra parte, si fanno “i cazzi loro”, sport nazionale nella mia prima terra d’adozione, la Liguria?

Dove finiscono i “cazzi miei” e dove cominciano situazioni aberranti contro le quali posso fare qualcosa?

Attendo ancora risposta.

Nel frattempo mi sono premurato di chiamare la Forza Pubblica 19 volte negli ultimi 4 anni (sono nottambulo) e di aver messo per cappello, sfondandola, una televisione nuova all’ultimo imbecille che si è azzardato ad offrirmi cocaina al bancone di un bar.

Tutto parte dal piccolo.

Come il Cazzo, se volete e vi è più affine.

Ora, vedete, io risiedo abitualmente a 3 chilometri dalla casa del nuovo “mostro”.

Ho imparato ad amare questa seconda Terra d’adozione, vedendone il Bello -che è smisurato- e percependone il brutto, che poco non è.

E’ Terra complessa e stratificata.

Io ci sto bene: ho una bella casa, pile di libri su ogni superficie, chitarre con 100 Watt di amplificazione, pescivendoli, edicolanti, ristoratori e macellai con cui ho instaurato rapporti ormai non più solo commerciali ma oserei dire quasi d’amicizia.

Amo girare in macchina per il Cinto Euganeo, giusto per il gusto di farlo.

Si vedono belle cose, tra rocche, castelli, boschi, ville palladiane

Ma.

Ascolto.

Guardo.

Vedo.

A volte, troppo spesso anzi, si percepisce un degrado latente fuori parametro.

Cosiddetti “giovani” dispersi, liquefatti dalla droga, ovvero da una “cultura libertaria” della quale sono solo vittime e non protagonisti.

Il Sesso dato per scontato: aiuta a vincere la noia di una Provincia che, se possibile, è ancor più Provincia di quella ligure.

Il Sesso come merce di scambio: per una dose, per una ricarica, per una vacanza.

La smania, sottotraccia in alcuni, ben più pressante in quasi tutti gli altri di “essere”: ed “essere” qui vuol dire apparire.

Avere.

Spacciare per avere.

Consumare e consumarsi per “essere”.

Basta ascoltarli, in un bar casuale o in una pizzeria estemporanea: chi chiava con chi, dove la trovo a meno (la droga), forse me la da stasera (la Fica), ci spero (entrambe le cose).

Se poi frequentate una palestra, non ne parliamo: vi renderete conto di quanto la beceraggine congenita domini.

Un livello generalizzato di violenza, attitudinale più che fisica in senso stretto, che non conosce confini.

Infatti il “problema” in oggetto non è tanto la “violenza sulle donne”, che resta una pur drammatica “punta di iceberg”, quanto più la violenza tout court.

Ascoltateli e guardateli quando escono dalla cosiddetta “scuola”: urla, bestemmie, compiacenza del proprio degrado, gara a chi la spara più blasfema o la fa più grossa.

Zero estetica, merda a palate.

Nessuna tensione verso il Bello (che è non di rado Buono), nessuna curiosità per la Vita e le sue infinite ramificazioni, sfide, possibilità, gratificazioni.

Un orizzonte aberrante che non va oltre il soddisfacimento immediato di ogni estemporanea pulsione.

Chi non si adegua, come è successo a giovanissimi miei collaboratori ed amici sinceri, viene brutalizzato, magari solo perché diligente, perché rifiuta la logica squadrista del branco, perché rifiuta di drogarsi in compagnia o di assalire passanti inermi durante le ore notturne (sport assai diffuso, ad esempio, nella sedicente “capitale economica” della Nazione): in una parola perché ha delle prospettive.

Viviamo nel Paese ove il fratello di Sarah Scazzi tentò di commercializzare un “calendario” per “ricordare” la Sorella assassinata.

Mentre con abominevole nonchalance la di lei assassina chiedeva al giornalista di turno: “Te quanto fai di share”?

Viviamo in un Paese ove qualche anno fa tre baldracche infradiciottenni massacrarono a morte Suor Maria Laura Mainetti per il gusto di uccidere una Suora (Patriarcato anche qui, imbecilli?), per poi festeggiare l’avvenuto omicidio con una robusta sbronza in compagnia.

Viviamo in un Paese ove torme di imbecilli conclamati impestano i “social network” con strepitii di circostanza la cui unica funzione è peggio che masturbatoria: non vedono l’ora di mostrare a loro stessi quanto sono bravi a “indignarsi”.

Viviamo in un Paese, ribadisco, ove i suddetti avvertono come naturale, anzi, doveroso, applaudire di fronte ad un feretro.

Provate a pensare se solo qualche anno fa qualcuno si fosse permesso di fare altrettanto di fronte alla bara di un parente: sareste ancora in guardina per lesioni gravissime o tentato omicidio. E vi capirei e approverei senza scrupolo alcuno.

Ora, il sottoscritto sa, con certezza assoluta, che tale debordante e degradante violenza origini da una specifica “cultura”: su questo non ho dubbio alcuno.

Una “cultura” che col Patriarcato (maiuscola mia) non c’entra assolutamente un cazzo.

Ne è, anzi, antitesi piena e ributtante.

Le linee guida di tale “cultura” sono sempre le stesse, da decenni.

Le sue coordinate, la sua liturgia, i suoi sacerdoti sono noti, conosciuti, evidenti.

Spegnete per un istante lo “switch” dell’indignazione a comando e, per Dio, ragionate, possibilmente in autonomia.

Chiedetevi chi da anni pontifica sul “diritto al rischio”

Sul “diritto all’uso ricreativo delle sostanze psicotrope”.

Sul “diritto all’affettività ed alla sessualità”.

Indovinate chi è stato a demolire il nostro apparato scolastico fino a renderlo un parcheggio per disadattati completamente inutile a qualsivoglia Formazione ma tanto comodo per “genitori” i quali meno vedono i Figli più contenti sono.

Ascoltate, che so, un Bonaccini a caso che auspica l’estensione dell’obbligo scolastico dagli zero ai tre anni, perché nella testa di cazzo di certuni “amministratori” solo lo Stato è in grado di “educare” le nuove generazioni: la Famiglia è un noioso ostacolo da aggirare per formare “adulti consapevoli”.

Pensate alla costante menata di torrone sulla mancanza di “asili nido”, come se il problema educativo fosse concentrato esclusivamente sulle esigenze di predetti “genitori”, senza in nulla tener conto di quelle del Bambino, il quale DEVE “socializzare” da subito, anche se sta ancora nella culla.

Pensate a chi redige oggi i programmi scolastici, cercando di espungere fino alla desertificazione qualunque riferimento all’Eroismo, alla Gloria, alla Civiltà Medievale, alla Religione, alla Virilità, all’Oltre ed alla Metafisica.

Censori in servizio permanente ed effettivo che, “per il vostro bene” tentano, usando forbicette spuntate, di riscrivere la Storia e far crescere i nostri Virgulti completamente privi di radici, di apparato critico, di nerbo.

Lascio a voi la missione di individuarne nomi, cognomi, carica e stipendio.

E, naturalmente, di mandarli a fare in culo con estremo pregiudizio.

Dixi.

“Loro”: quelli che possono aspettare. Indefinitamente.

Di Francesco Natale

Tra gli innumerevoli delitti perpetrati dal precedente esecutivo il più grave ed imperdonabile consiste, senza ombra di dubbio, nell’aver messo artatamente mezza Nazione contro l’altra metà, col chiarissimo intento di denegare in massimo grado ogni doverosa assunzione di qualsivoglia responsabilità politica.

La perfetta chiusura del cerchio: dopo aver nominato -e stipendiato- inutili “task force”, dopo aver espanso fino all’ iperplasia le prerogative del cosiddetto “comitato tecnico scientifico” -quanto utile ormai lo sappiamo-, dopo aver nominato e lasciato campo libero ad un “commissario straordinario” il quale, come minimo, ha interpretato in maniera decisamente “creativa” il proprio ruolo, la massima espressione della conclamata codardia di Conte&compagni di merende sta nell’aver generato, in piena coscienza, un clima da guerra civile.

Per ora “fredda”: vedremo in seguito.

Nemici oggettivi individuati in maniera chirurgica di decreto in decreto: i “runner”, i padroni di cani, i barman, i ristoratori, gli albergatori, i venditori di articoli sportivi, i gestori di impianti sciistici, “quelli con le seconde case”, gli anziani nipote-muniti.

Nemici da abbattere con estremo pregiudizio.

A che cazzo mai serviranno i “controlli” nel momento in cui mezzo paese guarda di traverso l’altra metà e non vede l’ora di assurgere al ruolo benemerito di delatore, di poter denunciare il vicino di casa reo di aver ordinato un numero di pizze “non compatibile” col numero di membri del proprio nucleo famigliare?

Dopo un anno di delirio puro, durante il quale da completi coglioni devertebrati abbiamo accettato, chi di buon grado chi assai meno, una sodomia istituzionale abominevole e senza precedenti nella nostra storia repubblicana, l’evidenza del degrado, della degenerazione totale, della regressione al livello di sotto-uomini è chiara, cristallina, ineluttabile.

Sintetizzando: a fronte di una totale assenza di prospettive, poiché ad oggi non sappiamo se e quando finirà la viareggiata del cosiddetto “lock down” -parziale, totale, colorato: non importa-, l’Italia è divisa nettamente in due principali fazioni, tra le quali non è immaginabile vi siano tregua o quartiere, tra le quali non esiste alcun margine di comunicazione, trattativa, compromesso, dialogo, reciprocità, collaborazione.

Della prima fanno parte coloro che non possono in nessun caso permettersi di “aspettare” ulteriormente: se non hanno già chiuso baracca e burattini la cessazione dell’attività lavorativa, autonoma o dipendente che sia, è dietro l’angolo.

Le briciole provenienti dall’ indecente elemosina di stato hanno “garantito” loro di poter, semplicemente, vivere in miseria: spesso miseria nera.

Una miseria che si aggrava giorno dopo giorno, erodendo la psiche prima ancora dello stomaco.

Un regime assimilabile a quello, perverso oltre ogni limite, in vigore nei lager: ogni giorno che passa diminuisco la quantità di cibo che ti fornisco, lasciandoti tuttavia appena al di qua della morte per fame.

Ti concedo graziosamente una non vita: respiri, certo, ma sei ridotto ad un involucro.

Senza prospettive, speranze, aspirazioni.

Senza un orizzonte.

Gli augusti rappresentanti della seconda fazione sono coloro i quali, al contrario, possono aspettare. Indefinitamente.

O, comunque, vivono nella piena, pienissima convinzione di poterlo fare.

Non è necessariamente vero che costoro siano, come convenzionalmente si dice, “benestanti”.

Ma, sostanzialmente, vuoi per le modalità attraverso cui possono continuare a lavorare, vuoi per la, magari modesta, disponibilità di mezzi, non temono il protrarsi della ripugnante dittatura “sanitaria”, anche qualora quest’ultima durasse, che so, altri tre, quattro, dieci anni.

Fin qua si potrebbe pure dire: amen! Chi se ne frega: beato chi può e preghiamo per chi non può.

Ma, senza scadere in ingiuste generalizzazioni, c’è una serie di elementi ulteriori che dipingono un quadro ben più allarmante nonché vomitevole.

Perché non pochi di coloro che “possono aspettare” non si limitano a condurre la propria esistenza col decoroso silenzio che, se non empatia ed elementare rispetto, buon gusto ed eleganza dovrebbero imporre.

Vantano la pretesa di poter condizionare in ogni modo e con ogni mezzo la Vita -residuale!- di quanti entro Giugno di quest’anno finiranno in mezzo ad una strada. E non metaforicamente.

Costoro non entrano in un negozio da dieci anni, magari, perché “on-line” si fa tutto e non si perde tempo.

Se mettono piede in un ristorante o in una pizzeria considerano ciò alla stregua di concessione cardinalizia graziosamente rivolta al gestore nella loro infinità -se pur un poco scocciata- benevolenza: è presumibile, visti sembiante ed attitudine, che anziché gustarsi un piatto stiano già scrivendo mentalmente, ad ogni colpo di forchetta, una recensione per Trip Advisor o peggio.

Eppure esigono che negozianti e ristoratori facciano il cosiddetto “vaccino”.

Sono i medesimi, diffusi un pò in tutto il paese ma specialmente concentrati in talune aree ben circoscritte da Nord a Sud, che con languidissima nonchalance parlano di “reinventarsi” l’attività a fronte di intere categorie che, Dio che noia, non fanno altro che lamentarsi per le condizioni impossibili in cui sono costrette a non-lavorare.

Cazzi loro se anziché farsi un master a Berkeley (base di partenza: 16.000 Dollari. All’anno) in “Ingegneria Gestionale” o “Marketing 4.0” o “Financial Bondage Berserk” hanno “scelto” percorsi professionali “poco qualificati” e “poco qualificanti” come i camerieri, i lavapiatti, le parrucchiere, le estetiste, i baristi, i venditori di pentole&cocci, i pescivendoli, i macellai, i salumieri, gli agenti di viaggio, i panettieri, i soffiatori di vetro, gli scultori di Presepi.

Dovevano pensarci prima, ‘sti stronzi.

Del resto, che ci vuole?

“Riqualificare” un panificio in “consulente web design” o un centro estetico in “startup” -qualunque cosa ciò significhi- è robetta che richiede un attimo e tanta, tanta buona volontà, no?

Solo qualche testa di cazzo criminale tipo un “consulente” McKinsey può dimostrare di avere a tal punto divorziato dalla Realtà: nessuna cognizione elementare del vissuto quotidiano altrui, nessuna, pur vaga, idea di cosa sia e come funzioni il nostro paese.

Bastano tabulati e presentazioni “power point” per dimostrare senza il minimo scrupolo di coscienza che 2+2 dà 5 come risultato.

Ora, si potrebbe pure spendere una compassionevole prece considerando il livello di alienazione terminale e aberrante stupidità che affligge taluni soggetti, se i suddetti non fossero in massimo grado pericolosi.

Perché il loro egoismo non conosce limiti o confini: in essi alberga la pretesa assoluta di determinare le Vite altrui in risposta, si presume, al loro “istinto” di sopravvivenza.

“Noi” dobbiamo porre in essere taluni comportamenti affinché “loro” si sentano rassicurati: poco importa, anzi nulla importa, se in nome di una “collettività” che nulla ha di collettivo quanto più, casomai, di particolare, elitario, esclusivo le nostre Vite vanno a puttane ogni giorno di più.

Una reinterpretazione squallida, poco virile ma deliziosamente post-moderna della famigerata “Legge della Jungla”: tu giù, io su.

Più “regolisti” di un nazista valdese -e altrettanto simpatici- nulla gliene fotte di ritrovarsi a breve un’Italia ridotta in macerie, a ‘sto giro senza Piano Marshall ma, al contrario, con l’indebitamento-capestro del cosiddetto “recovery fund” e delle sue supreme “condizionalità”.

Perché al di là del summenzionato egoismo -e chi scrive, sia chiaro, non è Massimilano Kolbe né Santa Rita…- gli “attendisti”, se per Natura o contingenza non è dato saperlo, manifestano un aperto disprezzo nei confronti di quanti non si conformano, magari festosi e scondinzolanti, alla loro ributtante Weltanschauung, al loro distorto modo di percepire la Realtà, alla loro totale incapacità di immedesimazione nei confronti di categorie comunque considerate di “serie C”, al più destinate al rango di servi e, in quanto tali, completamente fungibili, sostituibili, non indispensabili.

Siamo, se vogliamo, di fronte ad un nuovo classismo.

Un classismo che non è certamente nato oggi, ma che la cosiddetta “emergenza sanitaria” ha fatto proliferare ed esplodere.

Un classismo che poco o punto c’entra col ceto economico/sociale d’appartenenza, poiché è sempre bene ricordare che così come la Povertà non è una Virtù, la ricchezza non è una colpa, quanto più con un certo tipo di forma mentis, un certo tipo di “filtro culturale” che riduce gli Uomini a cose, a “risorsa” -come se li conservassimo in un serbatoio inesauribile-, a fenomeno sociale astratto, privo di Carne e Sangue e Anima, ma visto e valutato esclusivamente in termini utilitaristici: se servi e sei funzionale alla preservazione del mio, per quanto squallido, “status quo”, bene, ti concedo la grazia di sopravvivere. Altrimenti puoi serenamente finire al macero, famigliari, dipendenti e collaboratori compresi.

Una crasi straordinaria tra capitalismo fordista e materialismo marxista che, tuttavia, supera, e di gran lunga, i presupposti originari, per concretizzarsi in qualcosa di ben più demoniaco e pericoloso.

Unica possibilità di difesa?

Ma è semplice, amici cari: l’uso ragionato della violenza.

Dosata, si intende, a seconda delle circostanze: ma senza scrupolo o esitazione.

Perché se vuoi la mia Morte, direttamente o indirettamente, non c’è altra risposta possibile rispetto all’autodifesa. Con ogni mezzo esperibile.

Ad Maiora…

Quelle vite altrui che non valgono un cazzo

Di Francesco Natale

Fateci caso: se siete più o meno normodotati, se avete conservato un briciolo di apparato critico, se, semplicemente, vi ponete qualche domanda inerente ad un orizzonte che superi le 24 ore, ovvero che riguardi il medio e lungo termine, se, soprattutto, avete una Partita IVA e/o non avete più idea di come continuare a lavorare e a pagare gli stipendi dei vostri eventuali dipendenti, le vostre Vite non valgono un cazzo.

Niente.

Zero.

Nada.

Quella stessa masnada di subnormali che ogni santo giorno strepita “la vita non ha prezzo!”, “la vita e la salute non possono subordinarsi a grette considerazioni di carattere economico!”, “i doveri comunitari atti a preservare la vita e la salute sono IMPERATIVIH MORALIH!!!”, attribuisce quotidianamente un valore alle vite altrui.

Un valore, per altro, da svendita a Mercatone Uno.

Avete tutti un bel cartellino col prezzo scritto sopra.

Un prezzo deciso da costoro, non si capisce in base a quale investitura morale.

Il catafalco retorico di base utilizzato è sempre il medesimo, senza percepibili eccezioni: i “morti-di-Bergamo!”, “gli-eroi-covyddy”, “gli assembramenti!”, “con-millemila-morti-al-giorno-è-vergognoso-pensare-al-Natale-e-alle-sciate!”, “il-governo-fa-bene-la-colpa-è-nostra!”, “vorrei-portarvi-in-un-reparto-covyddy”…blah blah blah.

A questa base che accomuna tutti i cromosomicamente svantaggiati si aggiungono poi “appliques” e decorazioni che variano a seconda del grado di imbecillità del singolo, che spazia da “enorme” a “colossale”.

Di queste graziosissime sfumature personali ho fatto scorpacciata tra ieri e stamattina, in meno di 24 ore.

C’è chi sostiene con assoluta nonchalance che “per le attività chiuse o un lavoro perso c’è un rimedio, per la vita persa NO! (leggi: la tua vita di esercente o di lavoratore non vale un cazzo)”, chi, riscoperto Lenin, propone “la tassazione dei patrimoni multimilionari per aiutare le attività in difficoltà! (sei benestante? La tua vita non vale un cazzo), chi, superando le vette del “Pianto Antico” carducciano, lacrima copioso col cazzo in mano pensando “a quelli che sono morti da soli, senza poter vedere un’ultima volta i parenti affranti e impauriti” (se non sei affranto e impaurito causa parenti morti la tua vita non vale un cazzo: affari tuoi se affranto e impaurito lo sei perché non sai come pagare bollette o perché tuo Figlio si è impiccato nel suo bar a Lodi), chi auspica agonia, morte e punizioni draconiane per coloro che, sbloccato temporaneamente il lager domestico, sono andati a comprarsi un televisore nuovo o un paio di slides Guess tacco 12 fucsia, glitterate e metallizzate o a bersi un aperitivo che, visti gli orari “consentiti”, olezza tanto di merenda. Ergo: se vendi televisori, zoccoli da shampista d’assalto o Singapore Gin Sling, la tua vita non vale un cazzo. Se sei acquirente dei suddetti beni, magari perché vuoi scoprire le meraviglie del 4K o “ravvivare” un bit la camera da letto coniugale o pensionare Zoom per parlare vis-à-vis con qualcuno, la tua vita non vale ugualmente un cazzo e meriti in sovrappiù d’esser appeso alla Colonna Infame in quanto untore.

Ne segue: coloro che attribuiscono un valore così assoluto alla “vita” propria, non vedono l’ora di relativizzare il valore delle vite altrui.

Le vostre.

Quelle che non valgono un cazzo.

Attenti, amici cari, ve ne prego: perché questa torma di stronzi devertebrati è pericolosa.

E non poco.

Sono, tutti e indistintamente, fautori di una nuova “Legge della Jungla”, ove le fauci snudate e i cruenti artigli sono sostituiti dalle paroline rosate, dal sentimentalismo arcobaleno, dall’induzione del senso di colpa, dalla protervia e dalla grettezza assoluta, demoniaca, ributtante propria del “pensiero debole” -il cui arsenale è solo in apparenza fatto di armi spuntate- che mira a farvi “interiorizzare” il lockdown, a farvi sentire “ogni giorno in lutto nazionale”, come ha dichiarato al Corriere la moglie di Nunzia de Girolamo, al secolo Francesco Boccia, Ministro per gli affari regionali.

Puntano, in sintesi, a fare si che ciascuno di noi costruisca con le proprie mani una prigione mentale più impenetrabile di Azkaban, dalla quale sia impossibile evadere anche a emergenza sospesa o finita. E nella quale costoro non vedono l’ora di svolgere la mansione di Dissennatori: non-persone che tolgono il senno alle Persone vere.

Premesso il fatto che pochissimo o nullo scrupolo dovrebbe generare l’idea di gonfiare di botte o sopprimere una non-persona (non è neppure reato: è Malicidio. E stando a San Bernardo di Chiaravalle non solo è consentito: ma doveroso), veniamo, dopo tanto “bastone”, ad una tenue, seppur luminosa “carota”.

Poco o tanto che ancora possano, gli Italiani hanno voglia di spendere: le code davanti ai negozi, ai bar, le prenotazioni ai ristoranti, il “sold out” dei pochi alberghi montani rimasti aperti nei giorni scorsi lo dimostrano.

Per molti, ahimé, sarà un Natale magrissimo, da dopoguerra.

Per parecchi di questi “molti”, tuttavia, la sussistenza dipende a doppio filo da quanto e come spenderanno coloro che ancora hanno risorse a disposizione e, soprattutto, voglia di impiegarle.

Fatelo!

Sono settimane in cui non esistono “spese inutili”, per chi può.

Non abbiate scrupoli.

Affrontate pazientemente code.

Siate civilmente scialacquatori, perché NESSUNA banconota che apparentemente “brucerete” sarà in Realtà sprecata.

E per moltissimi quella banconota farà la differenza.

Laddove sapete d’esser ben accetti, inducete i vostri barman e ristoratori a interpretare in maniera “elastica” e “creativa” orari e “normative”: li troverete straordinariamente disponibili.

Visto che la stragrande maggioranza dei consociati non ha, grazie a Dio, cambiato abitudini, come quel Behemoth del sottosegretario Zampa pretende di imporre, e si presenta GIUSTAMENTE alle 17.45 per un aperitivo (altrimenti è colazione stile Mulino Bianco).

Se siete esercenti, osate: dateci la cazzo di possibilità di SPENDERE.

Non fatevi intimidire da “multe” e “sanzioni”: ricordate che il 95% (NovantacinquePERCENTO) di quelle comminate tra Marzo e Aprile non sono MAI state pagate.

E, secondo voi, una “magistratura” che ci ha messo DIECI ANNI per processare Andreotti quanto tempo impiegherà per l’emanazione di 115.000 decreti penali di condanna, contro i quali basta un semplice ricorso?

Combattete.

E, per Dio, SPENDETE!

L’apparenza dimostra che siamo ancora Italiani, e in quanto tali COL CAZZO che ci faremo togliere il Natale, anche nei suoi aspetti più mondani e consumistici, dal satrapo pazzo di Volturara Appula e dalla sua corte peggio che bizantina.

Facciamo si che questa “apparenza” diventi una volta di più “sostanza”: specialmente per coloro che di questa sostanza, di questa fattiva tridimensionalità hanno un disperato bisogno.

Ultimo ma non ultimo, se potete, non dimenticate la Carità, verso coloro che nulla possono più vendere e in nulla possono più lavorare: chi fosse interessato mi contatti privatamente (bubbidolo@libero.it o Messenger) e sarà re-indirizzato a chi di dovere.

Dimostrate, insomma, VERO senso di appartenenza ad una Comunità, VERA fraternità: perché se vogliamo un’Italia a cui tornare, dobbiamo ricostruirla pezzo per pezzo OGGI, in primo luogo attraverso la difesa terminale della nostra Cultura, delle nostre Tradizioni, dei nostri innumerevoli “èlan vitals”. In secondo luogo facendo cantare fruscianti banconote: musica per le orecchie di chi sta sull’orlo del baratro.

Ad maiora

Palle al muro!

Di Francesco Natale

“Verrà il giorno in cui coloro che avete torturato si leveranno,

si rivolteranno contro il Male,

vi costringeranno a bere il vostro stesso sangue,

e vi ridurranno in polvere”

(Accept, “Balls to the Wall”, Solingen 1983)

Piaccia o meno, è cominciata.

Piaccia o meno non sarà certamente risolutiva ed è inutile immaginare forche&patiboli destinati a sigillare per sempre nella pattumiera della Storia il peggior esecutivo che la nostra Nazione abbia mai dovuto subire.

Ma, finalmente, dopo mesi di esulcerante tormento, l’esasperazione è esplosa in ribellione.

E chi se ne stupisce probabilmente ha vissuto su un altro pianeta durante gli ultimi dieci mesi.

Solo una masnada di manigoldi tanto protervi quanto cialtroni poteva mettere milioni di Italiani nella condizione disperata di chi non ha più nulla da perdere.

Quale altro risultato aspettarsi, quindi?

Non siamo mai stati un paese a vocazione “barricadera” né particolarmente incline a rivoluzioni.

Anche di fronte a contingenze agghiaccianti quali terremoti, inondazioni, crisi economica che ha pressoché disgregato la classe media, guerra e carestia ci siamo sempre rimboccati le maniche senza particolari lagnanze.

Forti del nostro ingegno, delle nostre spalle, delle nostre braccia, della nostra Fede abbiamo ricostruito da zero un Paese che nel 1946 era ridotto ad un cratere lunare.

Forti del nostro essere Italiani.

E qui sta il punto chiave: solo una “classe dirigente” infame, composta in via pressoché esclusiva da “dignitari” a servizio permanente ed effettivo di potenze straniere poteva dimostrarsi, come ha fatto, completamente incapace di entrare in sintonia col Popolo che avrebbe dovuto rappresentare.

Ascoltateli.

Ascoltateli, cazzo.

Abbiamo chiesto Pane per mesi: ci hanno dato pietre.

Ora quelle pietre vengono restituite al mittente con gli interessi.

Abbiamo chiesto Pane: ci hanno dato monopattini. Banchi a rotelle. “Didattica a distanza”.

Abbiamo chiesto Pane: ci hanno risposto con “green economy”, “recovery fund”, “diritticivili”, “paritàdigenere”, “quoterosa”, “smartworking”, “imperativimorali”, “MES”, “inginocchioperFloyd”, “ristori”, “potenzadifuoco”, “impresa 4.0”.

Gli Italiani non parlano questo linguaggio fatto di nulla, questo inconsulto gergo artificioso concepito in provetta a Palazzo Berlaymont: i barbari parlano così.

Un codice nato con l’unico scopo di narcotizzare le coscienze, di rassicurare, di rimbecillire al fine di render più facile la rapina e più ricco il bottino.

Ora il giocattolo si è rotto.

Perché quando arrivano le scadenze e non sai come pagare non c’è “greeneconomy” che tenga.

Perché quando ti ritrovi dodici dipendenti in lacrime ai quali non sai più come liquidare gli stipendi dopo che, insieme a te, hanno buttato il sangue per tentare di limitare i danni durante una stagione estiva ahimé sempre troppo breve, l’unico imperativo morale che avverti consiste nell’usare un monopattino come sonda proctologica a giocondo favor del satrapo pazzo di Volturara Appula.

Perché quando all’alba del 26 Ottobre, ultimo, graziosissimo “dpcm” appena entrato in vigore, un giovane lodigiano apre il suo bar per impiccarcisi dentro, l’unica potenza di fuoco della quale vorresti disporre è quella di una batteria di lanciarazzi puntata su Palazzo Chigi.

Perché dopo che hai dimezzato i posti a sedere, corazzato in plexiglas banconi e passaggi, speso migliaia di Euro in detergenti&igienizzanti, organizzato quasi impossibili “take away” e surreali consegne a domicilio, per renderti poi conto che tutto è stato inutile, l’unico Diritto Civile che ti preme difendere è quello all’autotutela: quindi sciopero fiscale e aperta violazione del coprifuoco commerciale alle 18.00.

Perché non puoi fare altrimenti.

Perché ai tuoi Figli non puoi dar da mangiare la “paritàdigenere” o consimili troiate.

Come se non bastasse, a fronte di una situazione sanitaria comunque da non sottovalutare, ti tocca pure vedere un guitto di Governatore che, con piglio mussoliniano, sventola una TAC polmonare in conferenza stampa facendo così terrorismo puro e semplice: perché dopo la bella viareggiata di Galeazzo De Luca, è ovvio ed evidente che al primo starnuto, alla prima puntura di zanzara, a Napoli si corre al pronto soccorso. Indipendentemente dalla necessità oggettiva. Intasando così strutture già magari di loro non attrezzatissime, scialacquando risorse che ad altri, in seria necessità, dovrebbero essere destinate.

Come se non bastasse il trapano psicologico carburato da televirus, dalle estenuanti conte di morti&positivi, dalla totale disomogeneità nella comunicazione ufficiale (hai Casalino nel ruolo di Richelieu: cos’altro attendersi quindi?), è penetrato nella mente, magari già non brillantissima ab origine, di molti, troppi connazionali.

Ai quali fotte solo di ottenere rassicurazioni impossibili, garanzie impossibili, promesse impossibili.

Giovani comari, vecchie chiocce, sagrestani mancati, paranoici misti e ipocondriaci vari passano le giornate all’affannosa ricerca di capri espiatori, di qualcuno cui attribuire tutto il Male dell’Universo.

Solo ieri, in meno di mezza giornata ho visto e sentito una panoplia di cazzate così maestose che ci sarebbe da ridere: se dietro ad esse non si leggesse, purtroppo, una malvagità latente, un odio fatto di braci appena appena sopite, un’invidia forse risalente che oggi trova finalmente sfogo grazie alla nuova liturgia sanitaria.

Nell’ordine: è colpa dei genitori che hanno fatto fare sport all’aperto ai figli in tenera età; è colpa dei pensionati (?!?!? Nesso logico non pervenuto: suggeriamo robuste somministrazioni di fosforo e iodio tre volte al dì); è colpa di coloro che utilizzano i mezzi pubblici; è colpa dei ristoratori che hanno pensato solo al loro guadagno; è colpa dei baristi che hanno favorito gli assembramenti; è colpa dei negozianti che vendono vestiti perché in camerino si prende di tutto, dalla lebbra al mal della pietra; è colpa dei Cattolici perché si ostinano ad andare in Chiesa (il che, considerato l’attuale Pontefice, è atto che rasenta l’eroismo. Anzi, il martirio); è colpa di quelli che fanno la spesa tutti i giorni (e che così facendo tengono vivi esercizi altrimenti destinati al fallimento).

Menti ottenebrate che non valgono manco il pugno in faccia che istinto, fegato ed esasperazione ti fanno caricare fino al formicolio delle dita.

Come se non bastasse ci mancava un caso clinico come Pregliasco  – i cui genitori con ogni evidenza non credevano nei giocattoli-, che ci invita tutti alla masturbazione (se reciproca o meno non è dato di saperlo: meglio non chiedere) come alternativa igienicamente corretta allo scopare. Siamo oltre il delirio di onnipotenza: siamo al sogno a metà tra il macabro ed il balordo di un pazzo scriteriato che auspica un esercito composto di segaioli da un lato e di consumatrici direzionali di sex-toys dall’altro.

Come se non bastasse sono risbucati dalle fogne i fautori della “poetica del covid”: quegli stinti, appassiti cantori, palliducci ma livorosi che riattaccano la menata di torrone sugli “eroi covid”, il cui mantra resta sempre il medesimo, senza percepibili varianti: “vorrei portarvi dentro ad un reparto coviddi per farvi vedere blah blah blah”.

Serenamente, avete rotto il cazzo.

Perché io vi porterei a Sorrento, a conoscere un impareggiabile artigiano che viveva fabbricando Presepi: e che ora vive di elemosina. Smartworking anche per lui?

Vi porterei da amici stretti che da sei mesi non sanno più come pagare un affitto. E hanno due figli piccoli a carico.

Vi porterei a conoscere moglie e figli di un pescatore morto suicida a Catania pochi giorni or sono.

Vi organizzerei una bella cena con una ventina di amici camerieri rimasti senza lavoro e riciclatisi imbianchini o factotum con scarsissima fortuna.

Vi porterei a conoscere personalmente chi ha ricominciato a vivere a lume di candela e se ha ancora un cellulare, chiede gentilmente di ricaricarlo al bar di un amico: perché gli hanno staccato la luce.

Più ancora vi inviterei a guardare in faccia coloro nei quali la Dignità ed il Decoro prevalgono sulla miseria, coloro che versano in condizioni indicibili ma, con pervicacia tutta Italiana, morirebbero piuttosto di darlo a vedere. E si macerano in una disperazione illimitata, che appare senza via d’uscita: quanto vale il vostro bolso sentimentalismo d’accatto di fronte a questo? Il vostro patetismo di merda? La vostra palloccolosa e flautata sicumera? I vostri accorati madrigali sugli “eroi coviddi”, tanto inutili quanto insulsi?

Ma andate a fare in culo, infami devertebrati senza Onore.

Meritereste di ritrovarvi tutti con le palle al muro.

Esattamente come sta accadendo in queste ore, finalmente, all’esecutivo pro-tempore.

Spogliati di ogni autorevolezza e, si spera presto, di ogni residuale autorità, Conte e i suoi scherani sono stati di fatto commissariati: non solo dal Popolo che è sceso in piazza -ieri in diciassette Città Italiane-, ma pure dai loro “kingmaker”, che, pur defilati, chiedono oggi “revisioni”, “rimodulazioni”, “modifiche”. Sono i prodromi dell’archiviazione: resisterà certo, come fanno le blatte quando provi a calpestarle. Schiererà l’esercito, forse, come vorrebbe quel coglione terminale di Amerigo De Luca in Dumini. Tenterà la strada della “transizione gentile” pur di non tornare a insegnare dattilografia comparata a Camerino.

Ma politicamente è annientato: come era inevitabile che accadesse.

Perché se i “provvedimenti” che adotti in quanto capo dell’esecutivo vengono ormai sistematicamente derisi, violati, contrastati, ignorati ti resta solo la Fuga a Varennes. E più tempestiva di quella fallita da Luigi XVI: prima che qualcuno forche&patiboli li costruisca veramente.

Ad maiora e…

VIVA L’ITALIA!

I leccapersiane: antropologia di una dittatura

Di Francesco Natale

Innanzitutto una precisazione sul copyright, ché son musicista e la SIAE me la devo tener buona: l’icastico epiteto formulare non è mio, ma è stato coniato dalla facondissima e malvagia mente dell’amico Pino Bruno, gaudente viveur rivierasco, attore e, tempo permettendo, ingegnere.

Genoma aberrante endemico nel Tigullio, il leccapersiane si è metastaticamente diffuso in tutto il suolo italico, sfruttando come catalizzatore l’emergenza sanitaria.

Imperterrito, non conosce ozio, sosta o riposo.

E agisce contemporaneamente su più piani: quello più becero ed evidente, superficiale, immediatamente percepibile così come quello più sottile, insinuante, psicologico.

Sintetizzando, il leccapersiane è colui -o colei- che è più bravo degli altri a “stare a casa” e ci tiene parossisticamente a dirvelo, mostrarvelo, vantarsene.

Fin qua si potrebbe dire, serenamente: cazzi tuoi, topo di fogna.

Ma intrinseca al leccapersiane esiste una tensione ben più nefasta e pericolosa: la smania, la frenesia di poter sindacare impunito sulla vita e sulle scelte altrui, sentendosi autorizzato ad esprimere in concreto tale sogno -con ogni probabilità coltivato segretamente in cupe e frenetiche fantasie masturbatorie per decenni- grazie all’emergenza sanitaria, la quale è quindi recepita dal nostro caso clinico come manna dal cielo.

Strepiterà pertanto su social e gruppi tematici “DOVETE STARE A CASAAAAA!!!”, nelle sue varianti interlocutorie, tipo “MA E’ COSI’ DIFFICILE CAPIRE CHE DOVETE STAREHHHH A CASAHHHHHH?!?!?”, minatorie “ORA MI AVETE ROTTO IL CAZZO: VI DENUNCIO SE NON STATEEEEEHHHH A CASAHHHHHHHH”, inquisitorie, “CHISSA’ SE QUELLI CHE OGGI NON STAVANO A CASAHHHHHHH ERANO RESIDENTIIIIIHHH?!?”, pauperistiche “CHE KAZZO ESCONO QUELLI CHE C’HANNO IL GIARDINO E LA PISCINA CHE MICA C’HANNO BISOGNO DI LAVORAREEEEHHHHHHH”(Si: il “caps lock” in overdrive è congenito. In quanto tale irredimibile).

Dopodiché sarà lui il primo a “non stare a casa”: scenderà in strada per riprendere, citofonino alla mano, runners, vecchi nipote-muniti, madri&padri con passeggino, milf con cane, cougar con gatto, bimbi con pallone, numeri di targa di auto presumibilmente “forestiere”, code al supermercato, code al bancomat, code negli allevamenti di castori, presunti assembramenti in Chiesa (ma quando mai? Magari…), funerali clandestini, altri leccapersiane non immediatamente riconosciuti (è ancora oggetto di istvdio l’usta ormonale che gli consente di riconoscersi tra loro e misteriosi restano, pertanto, i meccanismi di accoppiamento/riproduzione: la cariocinesi resta ipotesi ad oggi più verosimile…)

Quindi posta i filmati raccolti commentando di conseguenza e assumendo in immediato il ruolo di “difensore civico”: è lui il braccio secolare di una nuova inquisizione e per assolvere al meglio questo ingrato ma nobilissimo compito non bada a spendersi più di un campione di Triatlon.

Saremmo pertanto di fronte ad un miserabile “kapò”: un prigioniero che ha come unico scopo nella “vita” quello di farsi bello agli occhi del proprio carceriere, che brama di esser da quest’ultimo vezzeggiato, premiato e carezzato, che desidera sessualmente attestati di benemerenza e riconoscimenti atti a sottolineare la sua “diversità” e “alterità” rispetto a quei maledetti anticonformisti autarchici che “non stanno a casaaaahhhhhh”.

I quali, semplicemente, non ci stanno perché avvertono come esigenza naturale smetterla di nutrirsi di scatolame dopo due settimane di bunker o, più prosaicamente, hanno necessità di ritirare un poco di sudato contante al bancomat per pagare una pizza da asporto.

Ma, e qui introduciamo l’aspetto più abominevole e pernicioso che caratterizza il leccapersiane, egli non sente ragioni: investito non si sa bene di quale autorità esigerà spiegazioni. Prove inconfutabili. Dimostrazioni oggettive delle eventuali necessità altrui.

Nulla che una raffica di improperi da caserma assira o, alla peggio, un cluster di cartoni in faccia ben dati non possa risolvere, per carità. Eppure…

Già: eppure.

Eppure il bastardo in questione riesce, in non pochi casi, a insinuarsi nella mente altrui, condizionando l’agire del prossimo anche quando fisicamente non se ne avverte la presenza.

Spieghiamo con un esempio: immaginate una Donna. Magari bella e pure giovane. Immaginate che per ineludibili necessità oggettive costei debba recarsi, che so, nei locali della propria attività, per allagamento, effrazione, vandalismo o, magari, semplicemente per verificare che nulla di tutto ciò sia accaduto.

E’ facilissimo, laddove i leccapersiane imperano, che la poveretta in questione debba giustificarsi ex ante a mezzo social: perché cento occhi che già la odiavano prima non perdonandole gioventù, bellezza ed eventuale benessere (“Ha un negozio: è ricca!”) o, figuriamoci poi, maternità&figli se presenti, staranno tutti allineati, bramando di poterla aggredire, di farla a pezzi a norma di “decreto”, costringendo lei stessa ad assumere il loro linguaggio, a scusarsi in anticipo per l’ipotetica lesa maestà, ad abbandonarsi a iperplasie sentimentali ributtanti che in regime di normalità -e non di sub-normalità- mai avrebbe fatto proprie, sottolineando naturalmente la propria “colpevolezza” se pur contingente ed inevitabile, dedicando un “pensiero”, nell’ordine, ai “morti di Bergamo”, ai “reparti di terapia intensiva”, alle “infermiere COVID”, ai “forestieri” con le seconde, terze, quarte case, ai “medici eroi”, al fatto che si, certo, si sente “sporca” a uscire per necessità laddove altri non possono farlo, al garantire devotamente che, pedometro alla mano il cui risultato sarà prontamente pubblicato al rientro, non farà più di quei 1035 passi che separano casa da saracinesca, giammai soffermandosi a rimirare un brandello di Mare o a comprarsi una più che comprensibile boccia di Bombay Sapphire.

Allora, e solo allora, potrà uscire di casa: dopo un estenuante “auto da fe” che, comunque non appagherà mai in toto la smania manettara di soggetti cui andrebbero espiantati coattivamente gli organi per destinarli a miglior uso e fare così un favore al cosmo.

Psicopolizia allo stato puro.

E non finisce qui, poiché come diceva Huysmans, “se le vette della Santità sono raggiungibili da Anime elette, i baratri dell’Inferno non conoscono fondo né fine”.

La ciliegina sulla torta consisterà nella pletora di commenti alla “confessione”, scritti dai medesimi leccapersiane che odiano a morte la nostra Samantha (chiamiamola così come “nom-de-plume”), i quali, parzialmente appagati dal sacrificio dell’altrui dignità, scriveranno “Figurati Samy! Ti conosciamo, sappiamo quanto sei forte! Siamo con te!”, o “Ti capiamo: sono tempi difficili per tutti!”, “Sarebbe meglio che non esci -pretendete un congiuntivo? Anime belle…-, lo dico per LA TUA SALUTE! Ma se non puoi farne a meno…”, o ancora, “Tu puoi uscire -capito? TU.PUOI.USCIRE. Grazie all’anima del cazzo dei mortacci tua- mica sei come quei bastardi che vengono giù in vacanza…”, e, naturalmente, “Tu sei una BELLA PERSONA: sappiamo quanto ti costa, ma stai attenta ai controlli…”.

Capite perché poi un normodotato finisce per tifare Atlantide e sognare la lustrale potenza mergiturante di Acque palingenetiche?

Ad maiora…

 

Sutherland 1

La “nuova sinistra”? C’è già: si chiama Lega.

Francesco Natale

No, tranquilli: non ho fatto colazione con Juncker e non sto “bestemmiando in Chiesa”. Vi sto semplicemente dicendo, una volta di più, la Verità.
Chiara, cristallina, inconfutabile.
Pensate a quanto suona di “sinistra” un linguaggio, e quindi una politica ad esso conseguente, costruito interamente su parole, formule, espressioni quali: “storytelling”, “narrazione”, “startup”, “app”, “2.0”, “3.0”, “4.3periodico”, “inclusione”, “solidarietà”, “Europa”, “piùeuropa”, “celochiedeleuropa” “TINA (acronimo di “There is no alternative”: non c’è alternativa)”, “giovani”, “knowhow”, “resilienza”, “battaglie-di-civiltà”, “diritticivili”, “modernizzare”, “nodiscriminare”, “SIGRANDECAPO!!! (cit. Micaela Campana)”, “no al far west!” (riferito alla legittima difesa), “i mercati”, ” i finanziatori”, “i capitali”, “gli investitori esteri”, “le regole condivise”, “lanimadistocazzo”. Per ora può bastare.
Tutto quello che avete appena letto, Miki Campana a parte, non significa di per sé assolutamente un cazzo. Niente. Nada. Zero.
Si tratta di un codice completamente innaturale, ovvero completamente slegato dagli oggetti e dai soggetti che mira a descrivere inquadrati nel loro contesto reale, interconnesso, funzionale.
Parole che sono solo guscio: vuote di frutto e di seme all’interno, quindi assolutamente inadatte a convertirsi in azione, politica o meno che sia.
Parole che, al massimo, possono suscitare plauso e godimento in soggetti psichiatricamente pericolosi quali Zagrebelski, Carofiglio o Gramellini, che nei confronti del cosiddetto “lessico civile” (espressione da abolire, censurare e perseguire con estremo pregiudizio, sia chiaro) provano una attrazione più che sessuale.
Provate a pensare a chi si rivolge questa sedicente “sinistra”, non solo pdem ma nel suo insieme di avvizziti onanisti radunati in microclub tipo LEU (esperienza già liquefatta non a caso) o “piùeuropa” o, peggio del peggio, “fronti repubblicani” in fieri che vedremo, forse, alla Calenda greca.
A parte i segaioli infojati dal “lessico civile”, quanti sono e, soprattutto, chi sono gli Italiani in grado in primo luogo di capire una simile confettura di luoghi comuni in salsa cyber, in secondo luogo di apprezzarne il “contenuto politico”?
Forse operai metalmeccanici?
Forse artigiani piccoli e medi?
Forse disoccupati?
Forse precari da call-center?
Forse camerieri stagionali?
Magari neo-ingegneri in cerca di primo incarico?
Praticanti in studio legale?
Parrucchieri?
Pensionati?
No, vero?
Questa cantilena ributtante, fatta di “correttezza politica” e rassicurazione”, di sabbia tirata negli occhi e di nebulosa mucillaggine, è la prova regina, la cartina di tornasole che dimostra, più di ogni finanziatore occulto, più di ogni eterodiretta agenda politica, più di ogni afflato suicida, come il voler imporre “riforme costituzionali” redatte dai propri lacché e/o reggisperma, quale sia la natura di questa “nuova sinistra”: archiviata l’esperienza post-comunista la sedicente “sinistra” nel suo grigissimo insieme è semplicemente divenuta un partito radicale. Prima di massa: nel volgere di un paio d’anni di miseria.
Fateci caso: tutto, ma proprio tutto il baricentro politico di quel cesso che è il PD così come le piccole pozzanghere che orbitano in quella coprogalassia si è spostato sull’asse dei cosiddetti “diritticivili”, scrittotuttoattaccatochesenononfunziona, del “giovanilismo 5.0”, ovvero tutta la retorica di merda su “cervelli-in-fuga”, “bonus-giovani”, “bonus-informatica”, “più-erasmus”, “cittadini europei” etc etc, frocionozze&eutanasia, nuova&nuovissima&SUPERNUOVA legge elettorale.
Punto. Fine. Basta.
Nient’altro.
Tutta paccottiglia della quale all’Italiano medio, di sana e robusta costituzione, indipendentemente dalla aderenza politica o apolitica, nulla frega. E ci mancherebbe.
Ne segue: quale può essere il tuo bacino elettorale di riferimento?
Semplicissimo: laici benestanti.
Salottieri benestanti.
Ex “compagni” benestanti.
Banchieri e finanzieri che benestanti lo sono per definizione.
Professionisti, magari pure bravi, eh, la cui tridimensionalità economica dipende in via pressoché esclusiva dalle regole truffaldine imposte dall’Europa su certificazioni, congruità ai parametri, bonus ambientali etc etc.
Certo, ci sono pure i “convinti” senza se e senza ma, gli “ultimi Giapponesi” disposti a votare il tal soggetto fosse pure Martina. Roba che richiede sforzi esulceranti di abnegazione Zen e a loro pertanto va la nostra commossa comprensione.
Un bacino elettorale, quindi, ovviamente sempre più limitato e compresso, geloso del proprio “status”, gelosissimo della propria autoconvinzione di essere moralmente superiore a chiunque altro.
Ne è riprova, per dire, la patetica sceneggiata che mise in piedi quel ciuco ansimante di Graziano del Rio a seguito del lapsus del Presidente del Consiglio, il quale dimenticò il nome sacro&inviolabile&blahblahblah di Piersanti Mattarella chiamandolo semplicemente “congiunto del Presidente della Repubblica” durante il discorso di insediamento.
Apriti cielo! Il nostro bardotto d’assalto, manco fosse il portavivande di un plotone di Alpini, parte raglio in resta gridando: “SI. CHIAMAVA. PIERSANTI! QUELCONGIUNTO!”.
E giù pacche sulle spalle da parte dei colleghi dem, strette di mano, torrenti di lacrime offese, scatti sull’attenti e sdegno da Giove Pluvio di fronte alla masnada di coloro che, dimenticando il nome di un pezzo di pantheon laico, dimostrano sotto sotto di essere paramafiosi.
Uno spettacolo ripugnante. Una sceneggiata indecorosa e vomitevole.
Indicativa tuttavia di una attitudine ancora ben radicata a certe latitudini: l’antimafia militante è cosa nostra. Solo nostra. Perché noi e solo noi abbiamo caratura, coscienza e statura morale per, attenzione, NON affrontare la mafia, cosa di cui non ci importa sega in fondo – troppo problematico e poco si sposa con “storytelling 6.0”-, ma per PARLARE di antimafia.
Allo stesso identico modo nessuno come loro è “antifascista”, qualunque cosa ciò possa significare nell’Italia del XXI secolo.
Parolina magica che, tuttavia&grazie a Iddio, ha perso un tantino di magia (chiamassero Franchino per un refitting. 7.0 naturalmente, eh). Certo, ci sarà sempre un caso clinico come Michela Murgia che proverà a cavalcare l’onda lunga (lunghissima…praticamente siderale ormai…) dell’antifascismo (militante pure questo), con l’esito pavloviano di fare salire di un punto percentuale la Lega ogni volta che apre bocca o posta un post.
Pensiamo poi al paternalismo. Quel paternalismo peggio che berlusconiano di cui è campionissimo quel congiunto di Piersanti Mattarella del quale ora proprio mi sfugge il nome (Graziano ragliami un aiutino, please…) e con lui, TUTTO l’establishment della sedicente “sinistra”, senza eccezioni.
Pensate, care teste di granito, a quando Piersanti 2.0 e con lui, in pallido coretto da cantori protestanti (pallidi anch’essi), i vari Martina, Rosato, Renzi, Della Vedova, Bonino, Lorenzin (una, per altro, il cui approdo ex abrupto alla direzione di Forza Italia Giovani tot anni fa resta ancora completamente avvolto dal mistero…) belano compunti: “Bisogna tutelare i risparmiatori! Bisogna tutelari i finanziatori! Bisogna non spaventare i mercati!”.
Si, avete capito: altre frasi che non significano assolutamente un cazzo.
Io, come penso la maggioranza dei miei connazionali, parto da un presupposto molto semplice e lineare: c’è una sola persona che ha pieno titolo per adeguatamente tutelare i miei (inesistenti) risparmi e, soprattutto, stabilirne la destinazione d’uso, ovvero il sottoscritto, che non ha necessità alcuna di pelose tutele da parte di asfittici artificieri perennemente terrorizzati dal cosiddetto “strappo istituzionale” e, di conseguenza, in larga misura corrivi ed asserviti ai dignitari di potenze straniere, altezzosi non meno di quanto siano solitamente alticci.
Paternalismo ben esemplificato, in altra declinazione ma con stessa identica radice, da soggetti come Minniti, Fiano, Majorino, i quali si ostinano a parlare di “percezione di pericolo e insicurezza”, ovvero di qualcosa che è distinto, è altro, è diverso rispetto al REALE pericolo e alla REALE insicurezza: e giù di narcosi pure qui, manco fossero sciamani urbani di Haight Ashbury negli anni ’60!
“Gli Italiani DEVONO capire…”, “Gli Italiani NON si rendono conto…”, “Gli Italiani sono SOBILLATI…”, “C’è chi SPECULA sulla PERCEZIONE comprensibile MA ERRATA degli Italiani in materia di immigrazione…”
Contate, se ne avete stomaco, quante volte vi è toccato ascoltare e digerire questa immane marea di criminali cazzate nel corso del 2018.
Ora, sommate tutto quanto finora riportato e traetene la conclusione, piuttosto ovvia in Verità: questo colossale mucchio di merda ha qualcosa a che vedere con il linguaggio, l’azione politica, il concetto stesso di “sinistra”?
No. Zero assoluto. Zero Kelvin proprio.
La sintesi sta tutta qui: in un parola sola, nel disprezzo totale, sostanziale, inconfutabile del Popolo, di quello stesso Popolo del quale fa menzione la nostra tanto sbandierata costituzione. Di quello stesso Popolo le cui istanze legittime, le cui aspirazioni a decoro, lavoro, sicurezza, promozione sociale sono state ignorate prima, calpestate poi.
Quello stesso Popolo al quale una, ed una sola forza politica, sta finalmente dando le risposte attese da vent’anni.
Ovvero la Lega.
Che poco o nulla c’entra con la cosiddetta “destra”.
Che, casomai, facendo le debite proporzioni, sta avviando il medesimo processo che portò a compimento Bettino Craxi nei primi anni ’80, quando in barba al PCI portò la Classe Operaia “in Paradiso”, attirandosi l’odio sempiterno dell’establishment comunista, al quale soffiò sotto al naso buona parte dell’elettorato (ex) proletario, arginandone per sempre le ambizioni governative, al punto tale che all’esecutivo gli ex compagni ci arriveranno come ierofanti di un “democristiano”.
Processo in realtà molto semplice: dare risposte concrete ed efficaci alle emergenze REALI che il paese sta affrontando.
Mettiamone in ordine qualcuna.
Nessuna retorica giovanilista da tre soldi: il problema ENORME che tante famiglie italiane affrontano oggi dipende in buona misura dal trattamento riservato a quanti hanno perso il lavoro tra i 40 e i 50 anni e che, grazie alle belle puttanate globaliste della “new economy 9.0”, si ritrovano completamente dimenticati. Piazzati su un binario morto. Oggetti, più che persone, che la sedicente “sinistra” ha considerato da subito inutili. Zavorra. Malthusianamente, soggetti che prima si levano dai coglioni e meglio è, poiché ritenuti inservibili e non riciclabili. Soggetti, per altro, plurimamente vulnerati, poiché a quell’età, con ogni probabilità, si è pure acceso un mutuo, con le conseguenze del caso.
Pacificazione fiscale: chiamata spregiativamente “condono” proprio e soprattutto da coloro che hanno, da “sinistra” come da destra, condonato l’inverosimile.
Laddove, pur con le fisiologiche eccezioni che ci saranno, tale pacificazione risulta atto doveroso in un Paese che, grazie alle belle trovate liberali di Giulio Tremonti, tipo Equitalia, ha visto fallire decine di migliaia di piccole e medie imprese, gonfie magari di commesse lavorate e non pagate, a causa di “cartelle pazze” contro le quali nessuna opposizione efficace era possibile, dovendosi liquidare OBBLIGATORIAMENTE un terzo del richiesto, legittimo o illegittimo che fosse, preliminarmente al ricorso.
Tutti conosciamo personalmente, credo, individui, imprenditori e famiglie vessate quando non del tutto rovinate da cartelle rivelatesi, magari dopo 7 anni di calvario, completamente farlocche. Il tutto, cosa inaudita oltre ogni dire, nella totale impunibilità del soggetto emittente, ovvero Equitalia.
Stop all’immigrazione. Altro atto doveroso, che non ha nessuna coloritura “destroide”, anzi, casomai tutto il contrario, trattandosi di provvedimento che scardina contemporaneamente due menzogne colossali: la prima consistente nel definire come “inevitabile” il perdurare dei flussi migratori, che quindi “vanno regolati”, la seconda nell’aver voluto scindere ad ogni costo la gravissima emergenza sicurezza dal problema migratorio.
I flussi possono essere e saranno fermati. Del tutto. Punto.
Chi ha sostenuto criminalmente il contrario lo ha fatto per ragioni poco confessabili, inerenti non tanto al nostro contesto politico nazionale quanto più a quel movimento diafano e trans-politico che anima al 95% i nodi cardinali della cosiddetta “unione europea”. Non roba nostra, quindi, ma porcheria che subiamo, che è altra cosa.
Il problema sicurezza è in gran parte legato alla presenza di migranti. Clandestini o meno che siano. Circa 500.000 soggetti sono in Italia e non dovrebbero esserci. Probabilmente di più. Lasciarli impuniti ed impunibili a piede libero sarebbe, questo si, atto criminale.
E il peggioramento abissale del livello di sicurezza così come di decoro urbano elementare in determinate zone (quando non intere città…) legato alla presenza di tali soggetti può essere messo in discussione solo da chi determinate zone non solo non le frequenta mai, neppure per sbaglio, ma nemmeno s’è preso la briga di guardarle in fotografia.
Ovvio: da Capalbio anche gli slums sembrano Disneyland
Detassazione: e qui riscopriamo, a metà tra il furioso e il divertito, la quantità esponenziale di teste di cazzo che orbitano tra scranni e redazioni, tra apericena e spritzate solidali, alle coordinate di riferimento della sedicente “sinistra”.
Portare al 15% la tassazione per i titolari di Partita IVA che dichiarano fino a 65.000 Euro vuol dire OSSIGENARE di punto in bianco 2 milioni di soggetti. Con famiglie annesse. Stiamo parlando dell’80% (OTTANTAPERCENTO) dei titolari di Partita IVA in Italia. E questo provvedimento, salutare, necessario, forse anch’esso doveroso, secondo i coprocefali di cui sopra “favorisce i ricchi!”.
Al solito, puoi “ragionare” in questi termini quando una Partita IVA non l’hai mai aperta né vista in fotografia. Certo, il commercialista ce l’hai eccome: ma ti serve solo per Banca Etruria e poco altro.
Ci sarebbe molto altro di cui parlare, dalla legittima difesa alla cedolare secca sugli affitti commerciali, ma per ora può bastare.
In sintesi, in quanto unico soggetto politico in grado di interpretare correttamente e rispondere di conseguenza alle legittime istanze del Popolo Italiano, la Lega ha scavalcato e battutto la “sinistra” su quello che, tradizionalmente, avrebbe dovuto essere, da sempre, il suo campo d’elezione.
La quantità e la qualità di epiteti che alla Lega e al suo Segretario vengono attribuiti ne è un altro indice: “fascisti”, “sovranisti”, “populisti”, “nazionalisti”.
Altre espressioni che non siginificano, bravi, assolutamente un cazzo.
Da sempre la “sinistra” li ha attribuiti, in maniera più o meno sistematica, agli oppositori che venivano a mangiare nella sua greppia, da Fanfani a Berlusconi passando, ovviamente, per Craxi (del quale pure arrivarono a postulare l’ascendenza “ducesca”, tanto per rincarare…).
Consoliamoci, quindi, cari Compagni: abbiamo finalmente un partito di Sinistra vera, nel quale riconoscerci e militare.
Si chiama Lega.

Ad maiora…Salvini Che 1

Antifascismo militante, poche parole sprangate tante

 

Antifa 1

Francesco Natale

 

Oggi vi racconto una storia.

Una storia che inizia circa 40 anni fa, ambientata in un’ipotetica cittadina inserita in un ipotetico comprensorio.

I semi del male, che ancor oggi forniscono smisurata messe,  sono stati gettati ben più di quarant’anni fa, ma. che volete, da qualche parte bisogna pur cominciare…

E’ Settembre. Primo giorno di scuola.

Anche per gli iscritti a quello che eufemisticamente viene definito “istituto tecnico industriale statale”: una fogna immonda nella quale la violenza, il degrado sociale, morale e culturale, la tossicodipendenza così specificatamente caratteristiche e congenite nel “comprensorio” intero trovano perfetta e indisturbata sinossi.

I “nonni”, ovvero i pluriripetenti delle ultime classi, sono tutti in stazione: aspettano i “primini”. Le nuove leve, insomma.

Sono centinaia e possono agevolmente tenere sotto controllo tutte le uscite dello scalo ferroviario.

Individuare sbarbati con zaino in spalla e tubolari da disegno è semplicissimo: anche degli untermenschen disgregati dall’eroina riescono a farlo senza (troppe) difficoltà.

L’aggressione è subitanea, automatica, brutale.

Pugni, calci, testate.

Zaini vengono strappati e fatti a pezzi.

Compassi, tecnigrafi, calcolatrici vengono diligentemente posizionati sui binari, affinché il convoglio in arrivo li polverizzi sotto le ruote.

La cosa peggiore di tutte è il rassegnato silenzio: tutti i “primini” sapevano già cosa sarebbe toccato loro. Inutile reagire, inutile gridare.

Le voci corrono in fretta. E la bestialità subumana dei “tecnici” era leggendaria già da anni.

Si spera solo che il rito di iniziazione finisca in fretta e senza troppe lesioni.

Passato quello, ce la si sarebbe cavata negli anni successivi con qualche moderata estorsione, con l’occasionale pestaggio in cortile, magari con l’obbligo di fare da “cavallo” (piccolo pusher) per le grandi occasioni.

Con perversa&perfetta logica da lager si arrivava addirittura ad agognare il “rispetto” degli aguzzini.

Se si diventava “sfondo”, la violenza dei sottouomini si sarebbe concentrata, con consumata vigliaccheria, solo sugli anelli più deboli della catena. In casi non rari inducendoli al suicidio.

Al rito, tuttavia, manca ancora una parte: quella più squisitamente sacrale e liturgica.

Dopo il pestaggio la misera massa di carne umana viene implotonata e spinta in malo modo verso la locale sezione del Partito Comunista Italiano: tutti, senza distinzioni, vengono costretti a tesserarsi alla FGCI.

In 40 anni ci fu una sola eccezione: un sedicenne (bocciato una volta per ogni anno di medie) mezzo pazzo e nero come la pece che girava con un coltello inguainato nello stivale sinistro e un revolver intascato nella giacca.

L’uso occasionale ma persuasivo che fece di entrambi gli strumenti indusse anche i compagni più ortodossi a fulminea e spietata autocritica.

All’interno del panopticon para-colombiano le cose non miglioravano di molto: nei bagni era possibile reperire qualunque cosa, dalla droga ai monili d’oro frutto di ricettazione.

Un giovane insegnante di matematica si ritrovò l’Anima spezzata dopo sei mesi dietro la cattedra e decise di buttarsi dal tetto dell’edificio. Una prece…

Un Preside di passaggio (tutti quelli che potevano erano “di passaggio”) investì in un anno più denari dal gommista che in vacanze: non aveva fatto nulla per censurare determinati comportamenti né era persona particolarmente autoritaria. Il “messaggio” era semplice: ringrazia il cielo che buchiamo i copertoni della tua macchina e continua a farti gli affari tuoi, o cominciamo a bucare te.

Non stupisce che la nomina in Sardegna, a 600 Km da casa, sia stata vissuta da quest’ultimo alla stregua di una Benedizione Cardinalizia.

C’è una parola per tutto questo: merda.

La merda nella quale hanno sguazzato indisturbati e compiaciuti criminali tout-court, la merda ancor più grande rappresentata da quanti, sia a livello istituzionale che civico, nulla hanno fatto per contrastarli.

Per opportunismo politico, per “appeasement”, per paura, per vigliaccheria, per, Dio non voglia, compiacenza verso un determinato stato di cose.

Grazie a Dio parecchi di questi ripugnanti fantocci, imbevuti in egual misura di oppiacei ed ideologia, sono morti: qualcuno ucciso, qualcuno per overdose, qualcuno per cause naturali.

Qualcuno è sopravvissuto, ha fatto ammenda, si è Convertito e mi ha raccontato questa storia, nella fumosa atmosfera di un American Bar, una notte di Giugno.

Ma…

Espandiamo il contesto. Perché mica crederete che finisca qui, vero?

Il SERT operativo nell’ipotetico comprensorio in oggetto si occupa oggi di oltre 4000 casi (oltrequattromilacasi): alcolisti, tossici, psicotici.

4000 casi vogliono dire anche 4000 famiglie. Di che tipo di famiglie si tratti in media è meglio per ora soprassedere.

Una piaga sociale esulcerante.

Le cui conseguenze vanno ben oltre e ben al di là del singolo, ma producono disastri a cascata con effetto-domino.

Ragazze-madri sieropositive, sedicenni carbonati dalle pastiglie, cinquantenni ridotti a colabrodo.

Flussi di metadone che scorrono inarrestabili come il fango del Vajont.

Anche per questo c’è una parola: merda.

La merda di cui hanno fatto uso gli “utenti” del SERT summenzionato, la merda ancor peggiore di quanti si sono rivelati campioni invincibili dello sport locale più gettonato: voltarsi dall’altra parte.

Allarghiamo ulteriormente il nostro Google-Maps.

C’è un ipotetico porto limitrofo al “nostro” ipotetico comprensorio.

La gestione sottotraccia del quale, caso rarissimo ma non unico, vede la proficua  joint-venture tra ‘ndrangheta e malavita albanese.

Buona parte della merda che finisce nel naso, nello stomaco e nelle vene dei 4000 disadattati di cui sopra viene da lì.

Così come quasi la metà delle prostitute che battono le strade della zona.

Dall’Albania ne venivano sicuramente due, ritrovate qualche anno fa nel greto di un fiume, sventrate dal pube alla gola: ad oggi nessun colpevole. Tanto di due “Marinelle” chi se ne fotte, in fondo?

Anche questa, tanto per cambiare, è merda.

Non ha un altro nome: merda.

Sempre “lì vicino”, sulle alture, era aperto fino a qualche anno fa un “locale” (che meriterà in futuro specifica e doviziosa analisi in altro scritto) ove si suonava musica dal vivo.

Ai tavoli, oltre a clientela eterogenea e quasi normale (quasi), era possibile trovare ex terroristi (quanto “ex” sarebbe da vedersi…), piccoli e medi pushers, soggetti sottoposti ad arresti domiciliari che è lecito supporre avessero colà eletto residenza, profeti della nuova pentecoste marxista, insignificanti “capipopolo” passati con nonchalance dal Fronte della Gioventù alla FGCI con la carnale speranza di acquisire maggior leadership rionale e, forse, vita sociale appena superiore a quella di un neutrone.

Il gestore, attraverso l’aura penetrante di Rum e marijuana che da colui perennemente emanava, era solito dire, ripetutamente, con voce un poco impastata: “Sai, finché la Provincia resta di sinistra qui non ci romperà mai il cazzo nessuno…”.

In effetti era proprio così: nessuno ruppe mai il cazzo a gambizzatori coinvolti in sparatorie dalle parti di Piazza Manin, spacciatori sessantenni conviventi con quindicenni, coltivatori diretti mooooolto particolari, piccoli chimici in erba, papponi da cortometraggio brasiliano, alto-borghesi col papà in Regione e la sorella in Comune, patron di rinomate discoteche, PR delle medesime legati a doppio filo con l’ambiente delle palestre e dei buttafuori, qualcuno dei quali trovò prematura fine in Medio Oriente qualche anno dopo.

Il buon vecchio sale della terra di quelle parti: ovvero una colossale montagna di merda.

Ora, cari miei, a costo di scadere nella coprolalia: sommate compuntamente tutta la merda di cui fino a qui ho soffertamente fatto menzione.

Cosa se ne deduce?

Semplice: che l’ipotetico&fantasioso comprensorio di cui sopra è stato stuprato in maniera sistematica e spietata da una classe politica come minimo insipiente ed incapace, quando non apertamente criminale, corriva, collusa.

Una classe dirigente che anziché mettere un argine almeno minimo alla montante marea di merda ha pensato bene di voltarsi dall’altra parte o, peggio, di sfruttarne il flusso per recare in porto il proprio naviglio, ovvero per acquisire immeritata ed inaudita tridimensionalità politica.

Un “elite” che ha, tuttavia, sempre avuto a disposizione la “carta jolly” per coprire la propria incompetenza, la propria indifferenza, la propria vigliaccheria, la propria eventuale collusione.

Il passe-par-tout per antonomasia: l’antifascismo.

Il comodo coperchio buono per tutte le stagioni, perfetto per chiudere ripugnanti pentoloni (pieni di cosa lo sapete) nei quali tutt’ora sguazzano i “tecnici” militanti, gli speaker di radio “tematiche”, i rottami per i quali Biancaneve non è una fiaba.

Tutti ancor oggi strumentalizzati da coloro che sanno perfettamente come il mantra “Antifa”, debitamente professato con lacrimoni d’ordinanza durante pubblica e toccante cerimonia (laica), attivi riflessi pavloviani: luce verde, luce rossa.

All’accendersi della seconda ecco ricompattarsi la masnada di relitti che non vorremmo manco come rematori sulle galee, pronti a offrire “solidarietà”, supporto elettorale, militanza, movimentismo, manifestazioni, sit-in, flash-mob, marce.

Un nulla sconfinato, il cui unico ubi consistam è dato dalla periodica riesumazione e ritumulazione di Claretta Petacci e Benito Mussolini, in un eterno samsara rituale officiato da zombi festanti: delle SS in piena regola.

Automi che trovano unica, misera consolazione al proprio fallimento esistenziale nell’esercizio sistematico della violenza: fisica, verbale, morale.

Revenant semiputrefatti che escono dal sepolcro solo il 25 Aprile, per

vivere come scarafaggi, tra piccoli traffici e facezie escatologiche il resto dell’anno.

Chi mi conosce sa quanto io detesti e abbia sempre detestato il fascismo, senza eccezioni di sorta.

Vi chiedo, quindi: quale percepibile differenza esiste tra questa congerie di picchiatori da stadio, di esponenti del demi-monde collocato tra gli Yacht Club e le centrali dello spaccio, di asfittici politicanti stretti nella morsa tra malavita organizzata e residuati della Guerra Civile (spesso in buoni affari tra loro) e i fascisti?

Semplice: nessuna. Non esiste alcuna differenza.

Se non per il fatto che il fascismo è stato condannato, è morto ed è sepolto.

Laddove la holding resistenziale (perché questo è: un comitato d’affari. Da sempre) adotta, tutt’oggi impunita e incensurabile, gli stessi identici metodi, la stessa identica violenza, la stessa ipocrita crudeltà.

Ecco perché mi suscitano altresì totale ripugnanza le virago che si fradiciano per assassini, ladri di galline, esecuzione di “Bella Ciao” da parte dei Modena City Ramblers e, soprattutto, per “leggi” e “provvedimenti” non solo inutili e fuori tempo massimo, ma potenzialmente prodromici di una nuova Notte dei Cristalli a parti rovesciate.

Andate a fare in culo, please.

 

Ad Maiora…

 

 

 

 

 

Di Amazon, Prosciutti, ladri senza Dio e coglioni terminali

Francesco Natale

La provincia di Genova in generale e il Tigullio nello specifico vantano, ahimé, la vivacità culturale solitamente riscontrabile in un obitorio vittoriano. Si sa.

Non mi riferisco naturalmente al numero di coloro che vantano prestigiosi titoli di studio o ai libri annualmente letti “pro capite”, quanto più ad una attitudine perniciosamente diffusa (con poche, benemerite eccezioni) ad ogni livello sociale.

Una attitudine, un abito mentale ormai congenito, che coniuga depressione latente, “revanchismo” gretto e patetico, fatalismo, prontezza fulminea nell’autoassoluzione e nell’autogiustificazione, sistematica attribuzione ad altri delle proprie colpe e dei propri eventuali errori.

Un mix deleterio e stagnante che produce due effetti distinti ma correlati: la necessità costante di individuare un nemico oggettivo da abbattere e un rassegnato qualunquismo che non ha eguali in altre realtà italiane.

Solitamente l’obiettivo principe contro cui scagliarsi è “lo Stato”.

Una entità di cui il nostro rivoluzionario da bar sport, cronicamente frustrato, neppure conosce la corretta definizione né gli elementi costitutivi.

Ma per costume consolidato basta pronunciarne, belando e muggendo, l’odiato nome per acquisire in automatico la statura etica e morale di un De Gaulle.

Ultimamente ho riscontrato con divertita malvagità che al nefasto “Stato” si sono affiancati, nella scoppiettante e arguta retorica barricadera di tanti piccoli Soloni di provincia, altri bersagli di notevole caratura.

Amazon, ad esempio.

Il “discorso” standard è più o meno il seguente: è una vergogna! Amazon rovina i commercianti vendendo sottocosto! E per di più non paga le tasse in Italia! Non si può andare avanti così! Ci vuole una legge!

E via così di cazzata in cazzata.

Ora, fotografiamo innanzitutto il “nomophylakòs” rivierasco medio: batte uno scontrino su tre, vende spesso e volentieri a prezzi da rapina a mano armata, magicamente il suo POS per carte di credito non funziona mai, non appena in città si vocifera dell’apertura di un Footlocker, di un Unieuro, di un Ikea del cazzo fonda comitati “civici”, scrive al Sindaco, al Parroco e al Vescovo, mobilita nonne e bambini grassocci, organizza fiaccolate e “flash-mob” di protesta, invoca la co-sti-tu-zio-ne-an-ti-fa-sci-sta, strepita e piange lacrime di sangue al fine di impedire l’apertura della succursale di catena. Solitamente ci riesce.

Il tutto fondato su un presupposto celato ma percepibile per chi non sia un completo deficiente: c’è un solo posto nel quale i soldi altrui sono legittimamente titolati a stare, a pena di indegnità morale in caso contrario, ovvero le mie tasche. E solo le mie tasche. Giammai quelle di qualcun altro.

Capirete bene da soli quanto questa nefanda attitudine possa essere positiva e salutare per una zona che rivendica “vocazione turistica” e “cultura dell’accoglienza”. Ma soprassediamo e passiamo alla fenomenologia in concreto.

Nello specifico parliamo di Prosciutto (io lo scrivo SEMPRE con la maiuscola: non me ne vogliate), alimento che venero e del quale sono consumatore direzionale.

Mi servo, da anni, sempre dal medesimo pizzicagnolo.

Il quale tiene in linea un solo tipo di Prosciutto crudo. Uno. Solo.

Di solito questa è garanzia di estrema qualità: a 30 prosciutti in rooster corrispondono spesso e volentieri mozzarelle da lungi passate a miglior vita e burrate potenzialmente lisergiche.

Da oltre cinquant’anni il mio pizzicagnolo, uomo di pochissime parole e tantissimo lavoro, si sceglie personalmente i pezzi destinati alla vendita e per questi paga, di tasca sua, il fermo in prosciuttificio per un anno di stagionatura in più.

Normale e logico che il suo Prosciutto costi circa il 20% in più rispetto alla media dei prosciutti di alta qualità.

Surplus che una numerosa e affezionata clientela paga più che volentieri.

Potreste mai immaginarmi, quindi, ad acquistare Prosciutto su Amazon?

No. Impossibile. Non c’è proprio storia.

Tutto questo per significarvi come esistano beni e prodotti, in Italia di larghissimo consumo, che non sono “fungibilmente” acquistabili in rete, e il mercato dei quali, quindi, non subisce alcuna flessione per “colpa” dell’odiato Amazon.

Diversissimo, questo si, il discorso che riguarda ad esempio informatica e tecnologia: è ovvio ed evidente che per la legge dei grandi numeri Amazon risulti abbastanza (non moltissimo: abbastanza) conveniente rispetto al negozio di quartiere.

Indipendentemente da quanto sia inesorabile il “progresso” dei circuiti di vendita telematici, è necessario fare una considerazione in più: quanti di tali “negozi di quartiere” meriterebbero davvero di restare aperti e di non essere invece travolti dalle Fiamme della Gehenna con estremo pregiudizio, indipendentemente da Amazon?

Qualche esempio spicciolo: due mesi fa ho necessità di acquistare 5 (cinque) Cd vergini per masterizzare le mie musichine metalliche.

Entro, maledetto me, in un negozio della zona.

Titolare: assente. Socio vice-titolare: assente.

Amico del titolare fuso e obnubilato: presente.

Scatoloni ammassati alla bell’e meglio, polvere museale, vetri rotti (?!?!?) per terra.

Ok. Sarà una cosa rapida e indolore comunque.

Per un cazzo: il caso clinico ci mette 10 minuti (dieci.minuti) per trovare, sotto a pila di cartacce, il cluster dei Cd vergini.

Quindi l’apoteosi: il registratore di cassa funziona solo con lettore IR di codice a barre. Non consente la digitazione autonoma su tastierino per “un problema software”, dice il debosciato. Il codice dei Cd vergini non risulta inserito in database: dopo quattro tentativi il sistema si pianta completamente. Faccio notare a coso che dello scontrino mi importa sega e che lo posso tranquillamente pagare “brevi manu”.

Non può: non conosce il prezzo di un singolo Cd e comunque DEVE fare lo scontrino. Mi prega di attendere mentre prova a contattare telefonicamente il titolare.

A quel punto mi impongo di resistere: voglio malignamente vedere come e quanto si protrae la faccenda.

59 minuti. Cinquantanovefottutiminuti.

Durante i quali l’ameba antropomorfa ha contattato titolare, resettato il sistema, cercato password, è entrato nel database, sbagliato primo, secondo e terzo inserimento dati, resettato nuovamente, reinserito dati, finalmente integrato codici corretti e battuto gloriosamente scontrino da 3,90 Euro.

La serranda sempiternamente serrata, l’anatema e la damnatio memoriae sono a mio giudizio la pena MINIMA per una non-gestione del genere.

Ma passiamo a di meglio e di oltre: 2006, anno di lancio della Nintendo Wii. Difficile reperirla al day-one (il giorno del lancio, insomma), visto l’altissimo numero di prenotazioni.

Notissimo negozio di giocattoli in Riviera. Wii prenotabile ma SOLO alle seguenti condizioni: 319 Euro per la console (prezzo IMPOSTO da Nintendo: 259 Euro) e OBBLIGO di prenotare contestualmente due giochi alla modica cifra di 89 Euro l’uno. Ottantanoveeuroluno: maledetto il budello cane delle vostre mamme.

Costo medio di un gioco Wii all’epoca su “Play24/7.com”, 39,90 Euro.

Per gli stessi IDENTICI giochi.

Qualche anno dopo, uscita di Playstation Vita, seconda console portatile di Sony: qui in Tigullio non è praticamente mai arrivata. Per una ragione molto semplice: essendo fondamentalmente destinata allo scarico dei giochi on-line su Playstation Store non consentiva di fatto ai “negozianti” di vendere un buon numero di game-cartridge dai prezzi adeguatamente gonfiati. Chapeau, davvero!

Stesso periodo: “Confessions of a Dance Floor” di Madonna in “negozio”, 25,40 Euro. Stesso identico Cd MA in edizione limitata con box cartonato su Play.com: 10,49 Euro, spedizione gratuita dall’isola di Jersey.

Lavatrice Hoover a carico verticale acquistata in loco (ri-maledetto me): 569 Euro. Stesso identico modello, Mediaworld: 329,99 Euro, consegna compresa.

In ultimo, il meglio, andando indietro di 30 anni, giusto per dimostrare che il fallimento di certuni “negozi” sarebbe stata sorte meritatissima e purtroppo mai giunta abbastanza tempestivamente, ben prima dell’avvento di Amazon.

Grillo Parlante, negozio di giocattoli in quel di Sampierdarena: trasferta con amichetti per acquistare qualche nuovo gioco per Commodore Amiga (meravigliosa e indimenticata macchina, per altro).

Entriamo e ci accoglie un sogghignate imbecille con barbetta mostrandoci svogliatamente lo scaffale giochi. Chiediamo il prezzo di tre titoli (Shark Attack, Tecnocop e Bloodwych, se non ricordo male…): “Eh, questi sono nuovi, su più dischi…appena arrivati…costano 45.000 Lire…”.

Esticazzi: facendo colletta possiamo permettercene solo due (solo a distanza di tempo scoprimmo che ufficialmente costavano cadauno 29.000 Lire).

E qui si raggiunge il climax discendente: il baratro della sub-umanità si scoperchia e ci investe col suo prepotente fetore di carogna.

Acquistiamo Shark Attack e Tecnocop, ma il prosseneta barbuto anziché darci le nostre scatoline cicciose dice con sicumera “Ora ve li faccio…preparare…venite pure nel retro…”.

Nel retro ci attende la demoniaca sintesi di ogni ligustico sfacelo, la condensa purulenta degli effluvi del genovese Vaso di Pandora: lui, l’uomo-faina.

Biondiccio, pettinatura aerodinamica sui lati, labbro molliccio, piccolo, olivastro, strafottente, camicia gialla abbottonata fino al colletto senza cravatta che manco i conduttori di DJ Television, fisico inesistente, naso affilato, sguardo liquido da prostituto.

Ci guarda sprezzante e con quelle manine unticce che sembrano di cera fa partire X-copy sull’Amiga del negozio.

Facciamo notare a barbetta che noi volevamo acquistare i giochi originali.

“Eh no…quelli non posso venderveli…mi servono per l’esposizione…ma poi è uguale, le nostre copie sono garantite, eh…poi, se volete l’originale…va bene…ma ve lo devo mettere a 89.000 Lire l’uno”.

All’anima putrefatta di quel tegame sfondato della tua genitrice.

Ci pieghiamo alla vessazione: avevamo 33 anni in tre, che cazzo avremmo dovuto/potuto fare?

Mentre X-copy sta facendo il suo sporco lavoro, un amico chiede se può sedersi su una sedia sgombra.

L’uomo-faina risponde piccato: “No. Non puoi. Resisti come facciamo noi STORICAMENTE”.

Si: avete capito bene. STORICAMENTE. Anziché “stoicamente”.

Ovvio: quando la tua formazione, la tua bildung letteraria, diciamo così, è avvenuta presumibilmente ammazzandoti di seghe su Blitz e Caballero non si può neppure pretendere troppo.

Confidando che lo spaccato di Realtà fornito sia stato sufficientemente illuminante, la sintesi è la seguente: per quale puttanissima ragione dovrei pagare fino al 60% in più (e oltre) per lo stesso identico oggetto che trovo al giusto prezzo su Amazon o altro e-shop? Dove stracazzo sta il “valore aggiunto” correlato ad una tale, vulnerante, maggiorazione di prezzo?

In secondo luogo: come è possibile che una significativa percentuale di esercenti possa essere così ignobilmente ottusa, al punto da non comprendere che un certo tipo di (eventuale o frizionale, per altro) flessione nelle vendite NON è causata dalla supposta “concorrenza sleale” di Amazon, bensì dal coniugio esiziale di cupida avidità e stupidità terminale, ovvero il binomio che da decenni sta sgretolando, pezzo dopo pezzo, il tessuto commerciale di Genova e Provincia?

Al solito, come accennavo a inizio pistolotto, colpe, responsabilità ed errori vengono puntualmente, senza eccezioni, ascritte ad altri: è ormai una specie di sport locale, una spirale ove vittimismo e autocommiserazione si intrecciano per mascherare, con fin troppa frequenza, una cupidigia truffaldina ributtante e ingiustificabile.

Andate a fare in culo, insomma.

 

Ad maiora…

Nosferatu 1

 

 

Quando un piatto di scampi diventa Rivoluzione

Scampi 1

Francesco Natale

Rilocato estemporaneamente in Veneto dopo quattro faustissimi anni a Roma, zona Castelli.

Tutto sommato non è male: i Colli Euganei hanno una loro ossianica ragion d’essere che compensa ampiamente l’orrore assoluto della periferia padovana, abominevole incrocio meticcio tra Mogadiscio e un qualunque distretto industriale sovietico, tipo “Città 17”.

Ma anche la quiete poussiniana, arcadica, del Cinto Euganeo è violata da un vento pestilenziale che olezza d’ossario scoperchiato, di zolfo satanico, di reflui fognari, di miasmatica lebbra ideologica, quasi fosse suscitato dalle nere ali di Pazuzu, il dio-demone sumero i cui dicasteri sono siccità, epidemie, putrefazione: la famigerata “raccolta differenziata”, considerata da una classe politica evidentemente composta da degenerati&depravati, fiore all’occhiello della regione levantina.

Il primo impatto col fascismo verde accadde in un brumoso mattino di Dicembre, presso l’ufficio dell’ente giacobino preposto all’indottrinamento coatto degli sventurati Veneti, nel quale mi recai per il rito laico della voltura utenze.

Partiamo subito in minore: l’indirizzo indicato sul sito di suddetto ente è sbagliato. Il navigatore schiuma e continua a spedirmi in una strada senza uscita ove si trova solo una carrozzeria. Al terzo tentativo fallito parcheggio e chiedo lumi al carrozziere, che sembra uscito da un film di Tarantino. Mi accoglie con una raffica di bonarie bestemmie (in zona le usano al posto della virgola…), spiegandomi un poco in Italiano stentato, un poco in bleso dialetto, che “ci cascano tutti”, perché la ***** ha cambiato da poco sede.

Ricostruite per interpolazione le coordinate, trovo finalmente l’ufficio: asettico trilocale piano strada senza neppure insegna, sostituita con grande munificenza da foglio A4 appeso ad anonima vetrina riportante, in stampatello, “Sede *****”.

Entro dopo aver verificato di avere meco tutti gli scartafacci necessari alla schedatura.

Purtroppo il ritardo accumulato ha fatto si che una ventina di persone prima di me fossero già in attesa di verde battesimo.

Rassegnato all’attesa, ne approfitto per una rapida disamina sociologica di ambiente e persone.

Due impiegati a due desk con computer di ordinanza: la donna, 50 anni circa, pettina androgina 2.0, amuleti etnici in legno a collo e polso, simbolo della pace tatuato nell’incavo tra pollice e indice (partiamo malissimo, pensai…), pare efficiente e rapida.

L’uomo, sui sessant’anni, non fa un cazzo. Ha un prigioniero politico settantenne seduto da venti minuti al desk, al quale ha detto che “c’è un problema col software”. Gira, ciondola, si fa un caffè al ginseng (continuiamo peggio…) con l’apposita macchinetta, chiede a più riprese lumi alla collega etno-pride mostrandole al contempo filmati, immagino “divertenti”, tramite smartphone. Ride. Gira nuovamente, ciondola nuovamente.

Quando ritiene di avere abusato a sufficienza della stoica pazienza del vecchietto lo congeda dicendo: “Deve tornare domattina: manca l’ultima bolletta del precedente inquilino. Non posso registrarla”.

“Registrarla”: il termine mi si imprime a fuoco nella mente.

“Registrarla”…

Guardo i miei compagni di sventura, seduti in attesa come me.

Leggo sui volti palese fastidio, temperato tuttavia da luciferina rassegnazione: sono Forche Caudine. Non c’è alternativa al giogo: tanto vale arrendersi al verde Fato e sperare solo che tutto finisca il prima possibile.

I “fortunati” gestiti dall’etno-androide, qualora “nuovi registrati”, devono autonomamente caricarsi i bidoni (anzi, no no no guai e giammai: si chiamano “CONTENITORI DEDICATI”! Peste e anatema coglieranno coloro che oseranno usare la desueta e patriarcale parola “bidone”) in spalla. Uno per ogni tipo: umido, secco, carta, plastica&metalli, ramaglie. Vedo ottantenni, così come giovani madri con numerosa figliolanza in formazione task-force (i Veneti, notoriamente, scopano e figliano: menzion d’onore doverosa), caricarsi con estrema fatica i fottuti bidoni: la maggior parte di loro, ovvero quelli non provvisti di pick-up/SUV, nerborute braccia, figli/mariti/nipoti muniti di nerborute braccia, hanno rateizzato il carico bidoni in tre, quattro, cinque volte. Si, perché ovviamente i bidoni del cazzo finiscono a un certo punto. E bisogna quindi attendere una settimana affinché ci sia il riassortimento.

Ogni CONTENITOREDEDICATO è munito di microchip (MICROCHIP), che viene “letto” ad ogni ritiro dall’ochrana ecofascista , fornendo dati alla centrale operativa.

Dati. Centrale Operativa. Ok.

Ne avrò ancora per un’ora buona: aiuto qualcuno degli sventurati a caricarsi un paio di bidoni.

Le reazioni sono sempre le medesime: raffiche di bonarie bestemmie, ringraziamenti al sottoscritto, maledizioni indirizzate a politica, enti, istituzioni, governi, Euro, banche.

Per una volta, apprezzo il qualunquismo: talvolta le banalità, pur restando banalità, non cessano di essere vere&veritiere.

Giunge il mio turno: grazie a Dio mi tocca la tizia gender-tribe.

Ho tutte le carte in regola e la voltura procede senza intoppi (mi sono portato pure il passaporto e la tessera del Games Workshop Store: conosco i burocrati di “un certo tipo” e so che la prudenza non è mai troppa). Arriva il momento dello spiegone: mi viene consegnato, con ieratica deferenza, il calendario ritiri e mi viene chiaramente fatto intendere che il “secco” è “malvisto” e viene progressivamente disincentivato, difatti sono consentiti solo 12 ritiri gratuiti all’anno della “frazione secca”. Eventuali eccedenze sono a pagamento, al costo di 3,50 Euro ciascuna. Addebito automatico su bolletta tramite registrazione via microchip (MICROCHIP).

La fisso negli occhi, di un azzurro freddo, metallico, algido e le dico: “Pensi che io non ho neppure una vaga idea di cosa sia il “secco”…”.

Se le avessi frantumato il setto nasale con un cartone avrebbe accusato minor disagio. Un bagliore di inaudito stupore e rettilea cattiveria le accende a intermittenza lo sguardo: “Ah. Mi sta dicendo una cosa molto brutta, sa…non va mica bene così…ma vedo che lei viene da Roma…lì in effetti sono molto indietro sulla differenziata…e non solo…”.

Con piglio pedagogico mi illustra cosa sia la “frazione secca”, utilizzando un pennarello come esempio di “oggetto non riciclabile”.

Con candida innocenza le dico che io lo avrei infilato nel coso per la plastica, essendo un pennarello fatto precipuamente di materie plastiche.

Un velo di orrore cosmico, lovecraftiano, tinge la faccia del cyborg prima di rosso pompeiano, poi di bianco lattiginoso punteggiato di cremisi: “Non lo faccia assolutamente! I materiali compositi non sono riciclabili e devono pertanto essere destinati alla frazione secca! A meno che non siano INTIERAMENTE costituiti da materiali naturali e biodegradabili, come le plastiche di mais (plastiche di mais?!?!?), e allora possono finire nell’umido! Non solo rischia la multa (la multa. Sic.), ma potrebbe compromettere addirittura il ciclo di recupero, a gettare compositi nel contenitore sbagliato!”.

Pregno di nuove nozioni che già mi riprometto di utilizzare in maniera apertamente criminale, lascio l’ufficio post-sovietico.

Passa qualche giorno.

Leggo casualmente che la Province di Padova e Bologna hanno “assunto” 25 “ecovigili” ciascuna, ovvero relitti da Erasmus destinati a “verificare in concreto” il rispetto della normativa vigente in materia di raccolta differenziata e riciclaggio. Cani da rifiuti, insomma, autorizzati con tanto di carta bollata, a mettere naso e becco nei NOSTRI bidoni, al fine di individuare i “non allineati”, segnalarli, sanzionarli o farli sanzionare dagli ierofanti del gran dio dell’ecosostenibilità.

Apprendo che i contenitori di plastica di yogurt, salse, shampoo etc etc devono essere lavati (accuratamente) prima di essere giubilati, a pena di rigetto, segnalazione, multa.

Disfarsi di uno stendipanni e di una chaise-longue in plastica impone viaggio alla cosiddetta “isola ecologica”: la più vicina sta nei pressi di Selvazzano. 44 chilometri di viaggio tra andata e ritorno. Registrazione all’isola ecologica. Valutazione tipo incidente probatorio del materiale. Accettazione subordinata a detta valutazione. Totale, 3 ore nette. 3 ore del mio preziosissimo tempo che ho dovuto sottrarre a Dark Souls 3 e all’esercizio diuturno di sweep-picking su chitarra.

L’ira montante sta acquisendo qualità tridimensionali: sono tipo Cayo nel finale della seconda serie di Ken il Guerriero. Emano fumi, sudo lava e ho gli occhi di bragia stile Caron Dimonio.

Il punto di frattura è vicino. Vicinissimo.

Due gocce fanno traboccare il vaso, rompono gli argini, generano lo tsunami di odio puro che farà di me un leader resistenziale.

La maledetta “frazione secca” ci viene ripetutamente rigettata: non capiamo il perché. Nessuno ce lo spiega.

Alla fine riesco a chiarire l’arcano: usiamo il sacchetto “sbagliato”. Il problema è che nei market di zona NON esiste il “sacchetto da secco”. Il buon Mario, garzone del Despar vicino a casa, vedendomi afflitto e scorato di fronte allo scaffale sacchetti intuisce senza ch’io dica nulla: “Cerca i sacchetti per il secco, vero? Guardi, abbiamo capito che vanno utilizzati questi qui, gialli trasparenti. Gli stessi usati per la plastica…”. Lo ringrazio e gli chiedo, tuttavia, come mai ciò non sia scritto o indicato da nessuna parte, in nessun modo. Mario allarga le braccia e dice: “Eh, lo sappiamo: tutto funziona, eh, per carità -dice quasi intimorito, inizialmente, dalla possibilità che io sia un ecovigile in borghese-“, poi aggiunge, conscio di potersi fidare, “Sono dei talebani di merda: lei non ha idea delle multe che hanno rifilato a tantissimi poveri pensionati, qui a **********, per sacchetti non idonei, ramaglie messe nell’umido per sbaglio, semplici disattenzioni…non controllano sempre, ovvio…ma quando lo fanno è automatico che salti fuori qualcosa…sono dei bastardi…”.

Saluto cordialmente Mario, comincio meno cordialmente a meditare propositi di vendetta terminale.

E arriviamo finalmente al piatto di scampi menzionato in titolo.

Voi direte, care teste di granito, “ma che c’entra un piatto di scampi con l’ecofascismo?”.

E’ presto detto.

Cucinarsi un piatto di scampi alla griglia, cosa comunissima e normalissima in ogni paese realmente civile, diviene in Veneto un’impresa degna di Giasone con Argonauti al seguito.

A pena di ritrovarsi la casa impestata da afrore ittico o il giardino devastato da belve randagie dovrete far collidere l’acquisto degli onusti crostacei con, nell’ordine: 1) Pescheria aperta; 2) Effettiva presenza di scampi decenti su banco di detta pescheria; 3) Ritiro della “frazione umida” il giorno successivo alla vostra cena; 4) Auspicio di sufficiente bonomia da parte dell’ecocyborg preposto al ritiro, poiché a quanto pare è ancora oggetto di “dubia iuris” l’ascrivibilità dei gusci esoscheletrici  alla categoria “secco” oppure “umido”.

Se sbagliate anche di un micron la tempistica vi ritroverete a dover tenere in casa per 7 giorni minimo (SETTEGIORNI) le povere spoglie della strage di mare o, in alternativa, a far felici le squadriglie di felidi che imperversano nel quartiere, le quali, pur sprovviste di pollice opponibile non hanno difficoltà alcuna a devastare CONTENITORIDEDICATI e a spargerne in giro il contenuto come il sale su Cartagine (facendovi rischiare ovviamente multa).

Tutto questo ha un nome ben preciso: Ius Primae Noctis 2.0.

Gli infami ecofascisti di merda entrano nelle nostre case: non solo e non tanto attraverso la leva  burocratico/amministrativa, che già da sola griderebbe vendetta a Dio, ma imponendo con pervicacia stalinista il mutamento progressivo ed inesorabile delle nostre abitudini, alimentari e non solo.

Non ci scopano più la Sposa a babbo morto (cazzo volete che scopi un depravato fanatico della differenziata?), ma, in compenso, fanno qualcosa di molto peggio, se possibile: ci stuprano quotidianamente, ogni giorno che Dio manda in terra, resi forti, come tutti i pusillanimi senza palle, da leggi infami permeate da quella che non è semplice “ideologia”, ma assume i connotati di una vera e propria “religione” laica, coi suoi abominevoli riti, con la sua ributtante liturgia, coi suoi degenerati sacerdoti.

Tutto ciò che è anti-umano e profondamente innaturale li eccita, li attrae come falene verso un lampione: hanno finalmente la valvola di sfogo che consente loro di venire a patti con vite scialbe, squallide, fallimentari. Il potere che sono in grado di esercitare sulle esistenze altrui è il riscatto che hanno per anni inutilmente cercato per altre vie, senza riuscirci.

Una reazione è atto non solo legittimo: è atto doveroso per poter continuare a chiamarci Uomini e Donne.

E io ho reagito.

Cliniche, ambulatori, ospedali, centri commerciali, supermarket, fabbriche e laboratori sono ancore di salvezza: ne ho censito location e disposizione dei BIDONI (Ah! Che valenza apotropaica assume oggi questa disprezzata parola…).

Abbiamo cominciato di notte, magari di ritorno da un bel ristorante con la macchina carica di sacchi, a scaricare i rifiuti INDIFFERENZIATI nei maxicontainer fuori da suddette strutture.

Una sera, mentre ero all’opre intento, senza che me ne accorgessi si è avvicinata una macchina a fari spenti, in zona ************.

Temevo pattuglia di ecovigili e mi preparai al peggio, deciso a vender cara la mia “frazione umana”.

Non avete idea della sorpresa: dalla macchina, furtivo e interdetto nel vedermi, scese Mario. Il buon Mario, Principe tra i Garzoni.

Era venuto pure lui a fare il suo bravo dovere di Uomo per bene: aveva il portabagagli pieno di spazzatura.

Senza dire una parola scaricammo, ci stringemmo la mano con ferrea virilità e andammo a celebrare la riscoperta Libertà di fronte a un buon prosecco.

E così scoprii che molti, moltissimi “bravi padovani” facevano sistematicamente quello che noi avevamo appena fatto: la protesta, una volta sorda e rassegnata, stava piano piano diventando marea montante. Un barlume, pur tenue, di Civiltà ancora resisteva!

Le operazioni di scarico non erano prive di rischi: le pattuglie di polizia potevano essere un serio problema, così come l’addentrarsi in certe zone limitrofe a centri sociali o università (termini spesso fungibili oggidì, ahimé…).

Aiutato dall’impareggiabile Mario, divenuto mio luogotenente, cominciai a organizzare vere e proprie task force: due macchine “pulite” facevano da battistrada, tenendo sotto controllo la zona e segnalando tempestivamente pattuglie o ronde di ecovigili.

Già, perché gli ecofascisti sospettavano che “qualcosa non andasse per il verso giusto”. La corrività di questi ultimi ai centrosocialcosi (tra i tanti quelli del CSOA “Galzignana Biovegana”: un nome, una garanzia. Di disagio) li rendeva potenzialmente perniciosi per la nostra Rivoluzione Silente.

Ma fino ad oggi tutto è filato liscio: è fatto marginale che sia stato necessario fornire un tabarro di legnate ad una decina di cannati in dreadlocks, i quali, animati da eccessivo “spirito civico”, tentarono qualche tempo fa di interferire in malamaniera e con non sufficiente cortesia con le operazioni di scarico. Nonostante uno dei cloni di Ziggy Marley abbia strepitato, tra una centra e l’altra, “Mio padre è magistrato! Siete fottuti! La paghereteeeeee…” nulla è accaduto. Ovviamente: con la “roba” e i precedenti che avevano addosso nessuno di loro si sarebbe mai sognato di invocare l’intervento della forza pubblica.

Come sempre, a conclusione operazioni, ci si incontra in un’area parcheggio e si fa bisboccia: picnic notturni nei quali ho conosciuto persone straordinarie, condividendo baccalà alla vicentina e mantecato, bigoli in salsa, prosciutti e soppressate all’aglio, Vezzena stravecchio, cozze e capesante, disposti in bella maniera sul cofano di un’auto riattato a tavolino e innaffiati a dovere dai robusti vini autoctoni.

Perché noi, in quanto Uomini e Donne, in quanto Italiani, dopo il buon Dio veneriamo la buona tavola.

Non la spazzatura, nuovo idolo di involucri sub-umani, senza Dio, senza Patria, senza Storia, senza un cazzo di niente.

 

Ad maiora…

Carità bastarda

il blog di Costanza Miriano

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di Francesco Natale

Penso fosse il 1994, poiché all’epoca avevo poco più di 18 anni: avevo appena finito il Liceo e iniziato a frequentare il primo anno di Giurisprudenza.

Il weekend capitava spesso che prendessi un treno per recarmi a Milano: buona parte del mio “entourage” liceale si era iscritto alla Cattolica o alla Statale e a quel tempo Internet, chat e social network erano qualcosa di neppure immaginabile. I primi telefoni cellulari, oggetti costosissimi di dimensioni equiparabili ad un accumulatore da centrale termica, erano, al massimo, appannaggio esclusivo di qualche altissimo dirigente pubblico.

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