Di Francesco Natale
“Verrà il giorno in cui coloro che avete torturato si leveranno,
si rivolteranno contro il Male,
vi costringeranno a bere il vostro stesso sangue,
e vi ridurranno in polvere”
(Accept, “Balls to the Wall”, Solingen 1983)
Piaccia o meno, è cominciata.
Piaccia o meno non sarà certamente risolutiva ed è inutile immaginare forche&patiboli destinati a sigillare per sempre nella pattumiera della Storia il peggior esecutivo che la nostra Nazione abbia mai dovuto subire.
Ma, finalmente, dopo mesi di esulcerante tormento, l’esasperazione è esplosa in ribellione.
E chi se ne stupisce probabilmente ha vissuto su un altro pianeta durante gli ultimi dieci mesi.
Solo una masnada di manigoldi tanto protervi quanto cialtroni poteva mettere milioni di Italiani nella condizione disperata di chi non ha più nulla da perdere.
Quale altro risultato aspettarsi, quindi?
Non siamo mai stati un paese a vocazione “barricadera” né particolarmente incline a rivoluzioni.
Anche di fronte a contingenze agghiaccianti quali terremoti, inondazioni, crisi economica che ha pressoché disgregato la classe media, guerra e carestia ci siamo sempre rimboccati le maniche senza particolari lagnanze.
Forti del nostro ingegno, delle nostre spalle, delle nostre braccia, della nostra Fede abbiamo ricostruito da zero un Paese che nel 1946 era ridotto ad un cratere lunare.
Forti del nostro essere Italiani.
E qui sta il punto chiave: solo una “classe dirigente” infame, composta in via pressoché esclusiva da “dignitari” a servizio permanente ed effettivo di potenze straniere poteva dimostrarsi, come ha fatto, completamente incapace di entrare in sintonia col Popolo che avrebbe dovuto rappresentare.
Ascoltateli.
Ascoltateli, cazzo.
Abbiamo chiesto Pane per mesi: ci hanno dato pietre.
Ora quelle pietre vengono restituite al mittente con gli interessi.
Abbiamo chiesto Pane: ci hanno dato monopattini. Banchi a rotelle. “Didattica a distanza”.
Abbiamo chiesto Pane: ci hanno risposto con “green economy”, “recovery fund”, “diritticivili”, “paritàdigenere”, “quoterosa”, “smartworking”, “imperativimorali”, “MES”, “inginocchioperFloyd”, “ristori”, “potenzadifuoco”, “impresa 4.0”.
Gli Italiani non parlano questo linguaggio fatto di nulla, questo inconsulto gergo artificioso concepito in provetta a Palazzo Berlaymont: i barbari parlano così.
Un codice nato con l’unico scopo di narcotizzare le coscienze, di rassicurare, di rimbecillire al fine di render più facile la rapina e più ricco il bottino.
Ora il giocattolo si è rotto.
Perché quando arrivano le scadenze e non sai come pagare non c’è “greeneconomy” che tenga.
Perché quando ti ritrovi dodici dipendenti in lacrime ai quali non sai più come liquidare gli stipendi dopo che, insieme a te, hanno buttato il sangue per tentare di limitare i danni durante una stagione estiva ahimé sempre troppo breve, l’unico imperativo morale che avverti consiste nell’usare un monopattino come sonda proctologica a giocondo favor del satrapo pazzo di Volturara Appula.
Perché quando all’alba del 26 Ottobre, ultimo, graziosissimo “dpcm” appena entrato in vigore, un giovane lodigiano apre il suo bar per impiccarcisi dentro, l’unica potenza di fuoco della quale vorresti disporre è quella di una batteria di lanciarazzi puntata su Palazzo Chigi.
Perché dopo che hai dimezzato i posti a sedere, corazzato in plexiglas banconi e passaggi, speso migliaia di Euro in detergenti&igienizzanti, organizzato quasi impossibili “take away” e surreali consegne a domicilio, per renderti poi conto che tutto è stato inutile, l’unico Diritto Civile che ti preme difendere è quello all’autotutela: quindi sciopero fiscale e aperta violazione del coprifuoco commerciale alle 18.00.
Perché non puoi fare altrimenti.
Perché ai tuoi Figli non puoi dar da mangiare la “paritàdigenere” o consimili troiate.
Come se non bastasse, a fronte di una situazione sanitaria comunque da non sottovalutare, ti tocca pure vedere un guitto di Governatore che, con piglio mussoliniano, sventola una TAC polmonare in conferenza stampa facendo così terrorismo puro e semplice: perché dopo la bella viareggiata di Galeazzo De Luca, è ovvio ed evidente che al primo starnuto, alla prima puntura di zanzara, a Napoli si corre al pronto soccorso. Indipendentemente dalla necessità oggettiva. Intasando così strutture già magari di loro non attrezzatissime, scialacquando risorse che ad altri, in seria necessità, dovrebbero essere destinate.
Come se non bastasse il trapano psicologico carburato da televirus, dalle estenuanti conte di morti&positivi, dalla totale disomogeneità nella comunicazione ufficiale (hai Casalino nel ruolo di Richelieu: cos’altro attendersi quindi?), è penetrato nella mente, magari già non brillantissima ab origine, di molti, troppi connazionali.
Ai quali fotte solo di ottenere rassicurazioni impossibili, garanzie impossibili, promesse impossibili.
Giovani comari, vecchie chiocce, sagrestani mancati, paranoici misti e ipocondriaci vari passano le giornate all’affannosa ricerca di capri espiatori, di qualcuno cui attribuire tutto il Male dell’Universo.
Solo ieri, in meno di mezza giornata ho visto e sentito una panoplia di cazzate così maestose che ci sarebbe da ridere: se dietro ad esse non si leggesse, purtroppo, una malvagità latente, un odio fatto di braci appena appena sopite, un’invidia forse risalente che oggi trova finalmente sfogo grazie alla nuova liturgia sanitaria.
Nell’ordine: è colpa dei genitori che hanno fatto fare sport all’aperto ai figli in tenera età; è colpa dei pensionati (?!?!? Nesso logico non pervenuto: suggeriamo robuste somministrazioni di fosforo e iodio tre volte al dì); è colpa di coloro che utilizzano i mezzi pubblici; è colpa dei ristoratori che hanno pensato solo al loro guadagno; è colpa dei baristi che hanno favorito gli assembramenti; è colpa dei negozianti che vendono vestiti perché in camerino si prende di tutto, dalla lebbra al mal della pietra; è colpa dei Cattolici perché si ostinano ad andare in Chiesa (il che, considerato l’attuale Pontefice, è atto che rasenta l’eroismo. Anzi, il martirio); è colpa di quelli che fanno la spesa tutti i giorni (e che così facendo tengono vivi esercizi altrimenti destinati al fallimento).
Menti ottenebrate che non valgono manco il pugno in faccia che istinto, fegato ed esasperazione ti fanno caricare fino al formicolio delle dita.
Come se non bastasse ci mancava un caso clinico come Pregliasco – i cui genitori con ogni evidenza non credevano nei giocattoli-, che ci invita tutti alla masturbazione (se reciproca o meno non è dato di saperlo: meglio non chiedere) come alternativa igienicamente corretta allo scopare. Siamo oltre il delirio di onnipotenza: siamo al sogno a metà tra il macabro ed il balordo di un pazzo scriteriato che auspica un esercito composto di segaioli da un lato e di consumatrici direzionali di sex-toys dall’altro.
Come se non bastasse sono risbucati dalle fogne i fautori della “poetica del covid”: quegli stinti, appassiti cantori, palliducci ma livorosi che riattaccano la menata di torrone sugli “eroi covid”, il cui mantra resta sempre il medesimo, senza percepibili varianti: “vorrei portarvi dentro ad un reparto coviddi per farvi vedere blah blah blah”.
Serenamente, avete rotto il cazzo.
Perché io vi porterei a Sorrento, a conoscere un impareggiabile artigiano che viveva fabbricando Presepi: e che ora vive di elemosina. Smartworking anche per lui?
Vi porterei da amici stretti che da sei mesi non sanno più come pagare un affitto. E hanno due figli piccoli a carico.
Vi porterei a conoscere moglie e figli di un pescatore morto suicida a Catania pochi giorni or sono.
Vi organizzerei una bella cena con una ventina di amici camerieri rimasti senza lavoro e riciclatisi imbianchini o factotum con scarsissima fortuna.
Vi porterei a conoscere personalmente chi ha ricominciato a vivere a lume di candela e se ha ancora un cellulare, chiede gentilmente di ricaricarlo al bar di un amico: perché gli hanno staccato la luce.
Più ancora vi inviterei a guardare in faccia coloro nei quali la Dignità ed il Decoro prevalgono sulla miseria, coloro che versano in condizioni indicibili ma, con pervicacia tutta Italiana, morirebbero piuttosto di darlo a vedere. E si macerano in una disperazione illimitata, che appare senza via d’uscita: quanto vale il vostro bolso sentimentalismo d’accatto di fronte a questo? Il vostro patetismo di merda? La vostra palloccolosa e flautata sicumera? I vostri accorati madrigali sugli “eroi coviddi”, tanto inutili quanto insulsi?
Ma andate a fare in culo, infami devertebrati senza Onore.
Meritereste di ritrovarvi tutti con le palle al muro.
Esattamente come sta accadendo in queste ore, finalmente, all’esecutivo pro-tempore.
Spogliati di ogni autorevolezza e, si spera presto, di ogni residuale autorità, Conte e i suoi scherani sono stati di fatto commissariati: non solo dal Popolo che è sceso in piazza -ieri in diciassette Città Italiane-, ma pure dai loro “kingmaker”, che, pur defilati, chiedono oggi “revisioni”, “rimodulazioni”, “modifiche”. Sono i prodromi dell’archiviazione: resisterà certo, come fanno le blatte quando provi a calpestarle. Schiererà l’esercito, forse, come vorrebbe quel coglione terminale di Amerigo De Luca in Dumini. Tenterà la strada della “transizione gentile” pur di non tornare a insegnare dattilografia comparata a Camerino.
Ma politicamente è annientato: come era inevitabile che accadesse.
Perché se i “provvedimenti” che adotti in quanto capo dell’esecutivo vengono ormai sistematicamente derisi, violati, contrastati, ignorati ti resta solo la Fuga a Varennes. E più tempestiva di quella fallita da Luigi XVI: prima che qualcuno forche&patiboli li costruisca veramente.
Ad maiora e…
VIVA L’ITALIA!