Di Amazon, Prosciutti, ladri senza Dio e coglioni terminali

Francesco Natale

La provincia di Genova in generale e il Tigullio nello specifico vantano, ahimé, la vivacità culturale solitamente riscontrabile in un obitorio vittoriano. Si sa.

Non mi riferisco naturalmente al numero di coloro che vantano prestigiosi titoli di studio o ai libri annualmente letti “pro capite”, quanto più ad una attitudine perniciosamente diffusa (con poche, benemerite eccezioni) ad ogni livello sociale.

Una attitudine, un abito mentale ormai congenito, che coniuga depressione latente, “revanchismo” gretto e patetico, fatalismo, prontezza fulminea nell’autoassoluzione e nell’autogiustificazione, sistematica attribuzione ad altri delle proprie colpe e dei propri eventuali errori.

Un mix deleterio e stagnante che produce due effetti distinti ma correlati: la necessità costante di individuare un nemico oggettivo da abbattere e un rassegnato qualunquismo che non ha eguali in altre realtà italiane.

Solitamente l’obiettivo principe contro cui scagliarsi è “lo Stato”.

Una entità di cui il nostro rivoluzionario da bar sport, cronicamente frustrato, neppure conosce la corretta definizione né gli elementi costitutivi.

Ma per costume consolidato basta pronunciarne, belando e muggendo, l’odiato nome per acquisire in automatico la statura etica e morale di un De Gaulle.

Ultimamente ho riscontrato con divertita malvagità che al nefasto “Stato” si sono affiancati, nella scoppiettante e arguta retorica barricadera di tanti piccoli Soloni di provincia, altri bersagli di notevole caratura.

Amazon, ad esempio.

Il “discorso” standard è più o meno il seguente: è una vergogna! Amazon rovina i commercianti vendendo sottocosto! E per di più non paga le tasse in Italia! Non si può andare avanti così! Ci vuole una legge!

E via così di cazzata in cazzata.

Ora, fotografiamo innanzitutto il “nomophylakòs” rivierasco medio: batte uno scontrino su tre, vende spesso e volentieri a prezzi da rapina a mano armata, magicamente il suo POS per carte di credito non funziona mai, non appena in città si vocifera dell’apertura di un Footlocker, di un Unieuro, di un Ikea del cazzo fonda comitati “civici”, scrive al Sindaco, al Parroco e al Vescovo, mobilita nonne e bambini grassocci, organizza fiaccolate e “flash-mob” di protesta, invoca la co-sti-tu-zio-ne-an-ti-fa-sci-sta, strepita e piange lacrime di sangue al fine di impedire l’apertura della succursale di catena. Solitamente ci riesce.

Il tutto fondato su un presupposto celato ma percepibile per chi non sia un completo deficiente: c’è un solo posto nel quale i soldi altrui sono legittimamente titolati a stare, a pena di indegnità morale in caso contrario, ovvero le mie tasche. E solo le mie tasche. Giammai quelle di qualcun altro.

Capirete bene da soli quanto questa nefanda attitudine possa essere positiva e salutare per una zona che rivendica “vocazione turistica” e “cultura dell’accoglienza”. Ma soprassediamo e passiamo alla fenomenologia in concreto.

Nello specifico parliamo di Prosciutto (io lo scrivo SEMPRE con la maiuscola: non me ne vogliate), alimento che venero e del quale sono consumatore direzionale.

Mi servo, da anni, sempre dal medesimo pizzicagnolo.

Il quale tiene in linea un solo tipo di Prosciutto crudo. Uno. Solo.

Di solito questa è garanzia di estrema qualità: a 30 prosciutti in rooster corrispondono spesso e volentieri mozzarelle da lungi passate a miglior vita e burrate potenzialmente lisergiche.

Da oltre cinquant’anni il mio pizzicagnolo, uomo di pochissime parole e tantissimo lavoro, si sceglie personalmente i pezzi destinati alla vendita e per questi paga, di tasca sua, il fermo in prosciuttificio per un anno di stagionatura in più.

Normale e logico che il suo Prosciutto costi circa il 20% in più rispetto alla media dei prosciutti di alta qualità.

Surplus che una numerosa e affezionata clientela paga più che volentieri.

Potreste mai immaginarmi, quindi, ad acquistare Prosciutto su Amazon?

No. Impossibile. Non c’è proprio storia.

Tutto questo per significarvi come esistano beni e prodotti, in Italia di larghissimo consumo, che non sono “fungibilmente” acquistabili in rete, e il mercato dei quali, quindi, non subisce alcuna flessione per “colpa” dell’odiato Amazon.

Diversissimo, questo si, il discorso che riguarda ad esempio informatica e tecnologia: è ovvio ed evidente che per la legge dei grandi numeri Amazon risulti abbastanza (non moltissimo: abbastanza) conveniente rispetto al negozio di quartiere.

Indipendentemente da quanto sia inesorabile il “progresso” dei circuiti di vendita telematici, è necessario fare una considerazione in più: quanti di tali “negozi di quartiere” meriterebbero davvero di restare aperti e di non essere invece travolti dalle Fiamme della Gehenna con estremo pregiudizio, indipendentemente da Amazon?

Qualche esempio spicciolo: due mesi fa ho necessità di acquistare 5 (cinque) Cd vergini per masterizzare le mie musichine metalliche.

Entro, maledetto me, in un negozio della zona.

Titolare: assente. Socio vice-titolare: assente.

Amico del titolare fuso e obnubilato: presente.

Scatoloni ammassati alla bell’e meglio, polvere museale, vetri rotti (?!?!?) per terra.

Ok. Sarà una cosa rapida e indolore comunque.

Per un cazzo: il caso clinico ci mette 10 minuti (dieci.minuti) per trovare, sotto a pila di cartacce, il cluster dei Cd vergini.

Quindi l’apoteosi: il registratore di cassa funziona solo con lettore IR di codice a barre. Non consente la digitazione autonoma su tastierino per “un problema software”, dice il debosciato. Il codice dei Cd vergini non risulta inserito in database: dopo quattro tentativi il sistema si pianta completamente. Faccio notare a coso che dello scontrino mi importa sega e che lo posso tranquillamente pagare “brevi manu”.

Non può: non conosce il prezzo di un singolo Cd e comunque DEVE fare lo scontrino. Mi prega di attendere mentre prova a contattare telefonicamente il titolare.

A quel punto mi impongo di resistere: voglio malignamente vedere come e quanto si protrae la faccenda.

59 minuti. Cinquantanovefottutiminuti.

Durante i quali l’ameba antropomorfa ha contattato titolare, resettato il sistema, cercato password, è entrato nel database, sbagliato primo, secondo e terzo inserimento dati, resettato nuovamente, reinserito dati, finalmente integrato codici corretti e battuto gloriosamente scontrino da 3,90 Euro.

La serranda sempiternamente serrata, l’anatema e la damnatio memoriae sono a mio giudizio la pena MINIMA per una non-gestione del genere.

Ma passiamo a di meglio e di oltre: 2006, anno di lancio della Nintendo Wii. Difficile reperirla al day-one (il giorno del lancio, insomma), visto l’altissimo numero di prenotazioni.

Notissimo negozio di giocattoli in Riviera. Wii prenotabile ma SOLO alle seguenti condizioni: 319 Euro per la console (prezzo IMPOSTO da Nintendo: 259 Euro) e OBBLIGO di prenotare contestualmente due giochi alla modica cifra di 89 Euro l’uno. Ottantanoveeuroluno: maledetto il budello cane delle vostre mamme.

Costo medio di un gioco Wii all’epoca su “Play24/7.com”, 39,90 Euro.

Per gli stessi IDENTICI giochi.

Qualche anno dopo, uscita di Playstation Vita, seconda console portatile di Sony: qui in Tigullio non è praticamente mai arrivata. Per una ragione molto semplice: essendo fondamentalmente destinata allo scarico dei giochi on-line su Playstation Store non consentiva di fatto ai “negozianti” di vendere un buon numero di game-cartridge dai prezzi adeguatamente gonfiati. Chapeau, davvero!

Stesso periodo: “Confessions of a Dance Floor” di Madonna in “negozio”, 25,40 Euro. Stesso identico Cd MA in edizione limitata con box cartonato su Play.com: 10,49 Euro, spedizione gratuita dall’isola di Jersey.

Lavatrice Hoover a carico verticale acquistata in loco (ri-maledetto me): 569 Euro. Stesso identico modello, Mediaworld: 329,99 Euro, consegna compresa.

In ultimo, il meglio, andando indietro di 30 anni, giusto per dimostrare che il fallimento di certuni “negozi” sarebbe stata sorte meritatissima e purtroppo mai giunta abbastanza tempestivamente, ben prima dell’avvento di Amazon.

Grillo Parlante, negozio di giocattoli in quel di Sampierdarena: trasferta con amichetti per acquistare qualche nuovo gioco per Commodore Amiga (meravigliosa e indimenticata macchina, per altro).

Entriamo e ci accoglie un sogghignate imbecille con barbetta mostrandoci svogliatamente lo scaffale giochi. Chiediamo il prezzo di tre titoli (Shark Attack, Tecnocop e Bloodwych, se non ricordo male…): “Eh, questi sono nuovi, su più dischi…appena arrivati…costano 45.000 Lire…”.

Esticazzi: facendo colletta possiamo permettercene solo due (solo a distanza di tempo scoprimmo che ufficialmente costavano cadauno 29.000 Lire).

E qui si raggiunge il climax discendente: il baratro della sub-umanità si scoperchia e ci investe col suo prepotente fetore di carogna.

Acquistiamo Shark Attack e Tecnocop, ma il prosseneta barbuto anziché darci le nostre scatoline cicciose dice con sicumera “Ora ve li faccio…preparare…venite pure nel retro…”.

Nel retro ci attende la demoniaca sintesi di ogni ligustico sfacelo, la condensa purulenta degli effluvi del genovese Vaso di Pandora: lui, l’uomo-faina.

Biondiccio, pettinatura aerodinamica sui lati, labbro molliccio, piccolo, olivastro, strafottente, camicia gialla abbottonata fino al colletto senza cravatta che manco i conduttori di DJ Television, fisico inesistente, naso affilato, sguardo liquido da prostituto.

Ci guarda sprezzante e con quelle manine unticce che sembrano di cera fa partire X-copy sull’Amiga del negozio.

Facciamo notare a barbetta che noi volevamo acquistare i giochi originali.

“Eh no…quelli non posso venderveli…mi servono per l’esposizione…ma poi è uguale, le nostre copie sono garantite, eh…poi, se volete l’originale…va bene…ma ve lo devo mettere a 89.000 Lire l’uno”.

All’anima putrefatta di quel tegame sfondato della tua genitrice.

Ci pieghiamo alla vessazione: avevamo 33 anni in tre, che cazzo avremmo dovuto/potuto fare?

Mentre X-copy sta facendo il suo sporco lavoro, un amico chiede se può sedersi su una sedia sgombra.

L’uomo-faina risponde piccato: “No. Non puoi. Resisti come facciamo noi STORICAMENTE”.

Si: avete capito bene. STORICAMENTE. Anziché “stoicamente”.

Ovvio: quando la tua formazione, la tua bildung letteraria, diciamo così, è avvenuta presumibilmente ammazzandoti di seghe su Blitz e Caballero non si può neppure pretendere troppo.

Confidando che lo spaccato di Realtà fornito sia stato sufficientemente illuminante, la sintesi è la seguente: per quale puttanissima ragione dovrei pagare fino al 60% in più (e oltre) per lo stesso identico oggetto che trovo al giusto prezzo su Amazon o altro e-shop? Dove stracazzo sta il “valore aggiunto” correlato ad una tale, vulnerante, maggiorazione di prezzo?

In secondo luogo: come è possibile che una significativa percentuale di esercenti possa essere così ignobilmente ottusa, al punto da non comprendere che un certo tipo di (eventuale o frizionale, per altro) flessione nelle vendite NON è causata dalla supposta “concorrenza sleale” di Amazon, bensì dal coniugio esiziale di cupida avidità e stupidità terminale, ovvero il binomio che da decenni sta sgretolando, pezzo dopo pezzo, il tessuto commerciale di Genova e Provincia?

Al solito, come accennavo a inizio pistolotto, colpe, responsabilità ed errori vengono puntualmente, senza eccezioni, ascritte ad altri: è ormai una specie di sport locale, una spirale ove vittimismo e autocommiserazione si intrecciano per mascherare, con fin troppa frequenza, una cupidigia truffaldina ributtante e ingiustificabile.

Andate a fare in culo, insomma.

 

Ad maiora…

Nosferatu 1