Antifascismo militante, poche parole sprangate tante

 

Antifa 1

Francesco Natale

 

Oggi vi racconto una storia.

Una storia che inizia circa 40 anni fa, ambientata in un’ipotetica cittadina inserita in un ipotetico comprensorio.

I semi del male, che ancor oggi forniscono smisurata messe,  sono stati gettati ben più di quarant’anni fa, ma. che volete, da qualche parte bisogna pur cominciare…

E’ Settembre. Primo giorno di scuola.

Anche per gli iscritti a quello che eufemisticamente viene definito “istituto tecnico industriale statale”: una fogna immonda nella quale la violenza, il degrado sociale, morale e culturale, la tossicodipendenza così specificatamente caratteristiche e congenite nel “comprensorio” intero trovano perfetta e indisturbata sinossi.

I “nonni”, ovvero i pluriripetenti delle ultime classi, sono tutti in stazione: aspettano i “primini”. Le nuove leve, insomma.

Sono centinaia e possono agevolmente tenere sotto controllo tutte le uscite dello scalo ferroviario.

Individuare sbarbati con zaino in spalla e tubolari da disegno è semplicissimo: anche degli untermenschen disgregati dall’eroina riescono a farlo senza (troppe) difficoltà.

L’aggressione è subitanea, automatica, brutale.

Pugni, calci, testate.

Zaini vengono strappati e fatti a pezzi.

Compassi, tecnigrafi, calcolatrici vengono diligentemente posizionati sui binari, affinché il convoglio in arrivo li polverizzi sotto le ruote.

La cosa peggiore di tutte è il rassegnato silenzio: tutti i “primini” sapevano già cosa sarebbe toccato loro. Inutile reagire, inutile gridare.

Le voci corrono in fretta. E la bestialità subumana dei “tecnici” era leggendaria già da anni.

Si spera solo che il rito di iniziazione finisca in fretta e senza troppe lesioni.

Passato quello, ce la si sarebbe cavata negli anni successivi con qualche moderata estorsione, con l’occasionale pestaggio in cortile, magari con l’obbligo di fare da “cavallo” (piccolo pusher) per le grandi occasioni.

Con perversa&perfetta logica da lager si arrivava addirittura ad agognare il “rispetto” degli aguzzini.

Se si diventava “sfondo”, la violenza dei sottouomini si sarebbe concentrata, con consumata vigliaccheria, solo sugli anelli più deboli della catena. In casi non rari inducendoli al suicidio.

Al rito, tuttavia, manca ancora una parte: quella più squisitamente sacrale e liturgica.

Dopo il pestaggio la misera massa di carne umana viene implotonata e spinta in malo modo verso la locale sezione del Partito Comunista Italiano: tutti, senza distinzioni, vengono costretti a tesserarsi alla FGCI.

In 40 anni ci fu una sola eccezione: un sedicenne (bocciato una volta per ogni anno di medie) mezzo pazzo e nero come la pece che girava con un coltello inguainato nello stivale sinistro e un revolver intascato nella giacca.

L’uso occasionale ma persuasivo che fece di entrambi gli strumenti indusse anche i compagni più ortodossi a fulminea e spietata autocritica.

All’interno del panopticon para-colombiano le cose non miglioravano di molto: nei bagni era possibile reperire qualunque cosa, dalla droga ai monili d’oro frutto di ricettazione.

Un giovane insegnante di matematica si ritrovò l’Anima spezzata dopo sei mesi dietro la cattedra e decise di buttarsi dal tetto dell’edificio. Una prece…

Un Preside di passaggio (tutti quelli che potevano erano “di passaggio”) investì in un anno più denari dal gommista che in vacanze: non aveva fatto nulla per censurare determinati comportamenti né era persona particolarmente autoritaria. Il “messaggio” era semplice: ringrazia il cielo che buchiamo i copertoni della tua macchina e continua a farti gli affari tuoi, o cominciamo a bucare te.

Non stupisce che la nomina in Sardegna, a 600 Km da casa, sia stata vissuta da quest’ultimo alla stregua di una Benedizione Cardinalizia.

C’è una parola per tutto questo: merda.

La merda nella quale hanno sguazzato indisturbati e compiaciuti criminali tout-court, la merda ancor più grande rappresentata da quanti, sia a livello istituzionale che civico, nulla hanno fatto per contrastarli.

Per opportunismo politico, per “appeasement”, per paura, per vigliaccheria, per, Dio non voglia, compiacenza verso un determinato stato di cose.

Grazie a Dio parecchi di questi ripugnanti fantocci, imbevuti in egual misura di oppiacei ed ideologia, sono morti: qualcuno ucciso, qualcuno per overdose, qualcuno per cause naturali.

Qualcuno è sopravvissuto, ha fatto ammenda, si è Convertito e mi ha raccontato questa storia, nella fumosa atmosfera di un American Bar, una notte di Giugno.

Ma…

Espandiamo il contesto. Perché mica crederete che finisca qui, vero?

Il SERT operativo nell’ipotetico comprensorio in oggetto si occupa oggi di oltre 4000 casi (oltrequattromilacasi): alcolisti, tossici, psicotici.

4000 casi vogliono dire anche 4000 famiglie. Di che tipo di famiglie si tratti in media è meglio per ora soprassedere.

Una piaga sociale esulcerante.

Le cui conseguenze vanno ben oltre e ben al di là del singolo, ma producono disastri a cascata con effetto-domino.

Ragazze-madri sieropositive, sedicenni carbonati dalle pastiglie, cinquantenni ridotti a colabrodo.

Flussi di metadone che scorrono inarrestabili come il fango del Vajont.

Anche per questo c’è una parola: merda.

La merda di cui hanno fatto uso gli “utenti” del SERT summenzionato, la merda ancor peggiore di quanti si sono rivelati campioni invincibili dello sport locale più gettonato: voltarsi dall’altra parte.

Allarghiamo ulteriormente il nostro Google-Maps.

C’è un ipotetico porto limitrofo al “nostro” ipotetico comprensorio.

La gestione sottotraccia del quale, caso rarissimo ma non unico, vede la proficua  joint-venture tra ‘ndrangheta e malavita albanese.

Buona parte della merda che finisce nel naso, nello stomaco e nelle vene dei 4000 disadattati di cui sopra viene da lì.

Così come quasi la metà delle prostitute che battono le strade della zona.

Dall’Albania ne venivano sicuramente due, ritrovate qualche anno fa nel greto di un fiume, sventrate dal pube alla gola: ad oggi nessun colpevole. Tanto di due “Marinelle” chi se ne fotte, in fondo?

Anche questa, tanto per cambiare, è merda.

Non ha un altro nome: merda.

Sempre “lì vicino”, sulle alture, era aperto fino a qualche anno fa un “locale” (che meriterà in futuro specifica e doviziosa analisi in altro scritto) ove si suonava musica dal vivo.

Ai tavoli, oltre a clientela eterogenea e quasi normale (quasi), era possibile trovare ex terroristi (quanto “ex” sarebbe da vedersi…), piccoli e medi pushers, soggetti sottoposti ad arresti domiciliari che è lecito supporre avessero colà eletto residenza, profeti della nuova pentecoste marxista, insignificanti “capipopolo” passati con nonchalance dal Fronte della Gioventù alla FGCI con la carnale speranza di acquisire maggior leadership rionale e, forse, vita sociale appena superiore a quella di un neutrone.

Il gestore, attraverso l’aura penetrante di Rum e marijuana che da colui perennemente emanava, era solito dire, ripetutamente, con voce un poco impastata: “Sai, finché la Provincia resta di sinistra qui non ci romperà mai il cazzo nessuno…”.

In effetti era proprio così: nessuno ruppe mai il cazzo a gambizzatori coinvolti in sparatorie dalle parti di Piazza Manin, spacciatori sessantenni conviventi con quindicenni, coltivatori diretti mooooolto particolari, piccoli chimici in erba, papponi da cortometraggio brasiliano, alto-borghesi col papà in Regione e la sorella in Comune, patron di rinomate discoteche, PR delle medesime legati a doppio filo con l’ambiente delle palestre e dei buttafuori, qualcuno dei quali trovò prematura fine in Medio Oriente qualche anno dopo.

Il buon vecchio sale della terra di quelle parti: ovvero una colossale montagna di merda.

Ora, cari miei, a costo di scadere nella coprolalia: sommate compuntamente tutta la merda di cui fino a qui ho soffertamente fatto menzione.

Cosa se ne deduce?

Semplice: che l’ipotetico&fantasioso comprensorio di cui sopra è stato stuprato in maniera sistematica e spietata da una classe politica come minimo insipiente ed incapace, quando non apertamente criminale, corriva, collusa.

Una classe dirigente che anziché mettere un argine almeno minimo alla montante marea di merda ha pensato bene di voltarsi dall’altra parte o, peggio, di sfruttarne il flusso per recare in porto il proprio naviglio, ovvero per acquisire immeritata ed inaudita tridimensionalità politica.

Un “elite” che ha, tuttavia, sempre avuto a disposizione la “carta jolly” per coprire la propria incompetenza, la propria indifferenza, la propria vigliaccheria, la propria eventuale collusione.

Il passe-par-tout per antonomasia: l’antifascismo.

Il comodo coperchio buono per tutte le stagioni, perfetto per chiudere ripugnanti pentoloni (pieni di cosa lo sapete) nei quali tutt’ora sguazzano i “tecnici” militanti, gli speaker di radio “tematiche”, i rottami per i quali Biancaneve non è una fiaba.

Tutti ancor oggi strumentalizzati da coloro che sanno perfettamente come il mantra “Antifa”, debitamente professato con lacrimoni d’ordinanza durante pubblica e toccante cerimonia (laica), attivi riflessi pavloviani: luce verde, luce rossa.

All’accendersi della seconda ecco ricompattarsi la masnada di relitti che non vorremmo manco come rematori sulle galee, pronti a offrire “solidarietà”, supporto elettorale, militanza, movimentismo, manifestazioni, sit-in, flash-mob, marce.

Un nulla sconfinato, il cui unico ubi consistam è dato dalla periodica riesumazione e ritumulazione di Claretta Petacci e Benito Mussolini, in un eterno samsara rituale officiato da zombi festanti: delle SS in piena regola.

Automi che trovano unica, misera consolazione al proprio fallimento esistenziale nell’esercizio sistematico della violenza: fisica, verbale, morale.

Revenant semiputrefatti che escono dal sepolcro solo il 25 Aprile, per

vivere come scarafaggi, tra piccoli traffici e facezie escatologiche il resto dell’anno.

Chi mi conosce sa quanto io detesti e abbia sempre detestato il fascismo, senza eccezioni di sorta.

Vi chiedo, quindi: quale percepibile differenza esiste tra questa congerie di picchiatori da stadio, di esponenti del demi-monde collocato tra gli Yacht Club e le centrali dello spaccio, di asfittici politicanti stretti nella morsa tra malavita organizzata e residuati della Guerra Civile (spesso in buoni affari tra loro) e i fascisti?

Semplice: nessuna. Non esiste alcuna differenza.

Se non per il fatto che il fascismo è stato condannato, è morto ed è sepolto.

Laddove la holding resistenziale (perché questo è: un comitato d’affari. Da sempre) adotta, tutt’oggi impunita e incensurabile, gli stessi identici metodi, la stessa identica violenza, la stessa ipocrita crudeltà.

Ecco perché mi suscitano altresì totale ripugnanza le virago che si fradiciano per assassini, ladri di galline, esecuzione di “Bella Ciao” da parte dei Modena City Ramblers e, soprattutto, per “leggi” e “provvedimenti” non solo inutili e fuori tempo massimo, ma potenzialmente prodromici di una nuova Notte dei Cristalli a parti rovesciate.

Andate a fare in culo, please.

 

Ad Maiora…