Francesco Natale
In verità ho perso il conto delle mani che ho stretto in vita mia. Ho perso il conto dei cocktails che ho condiviso, per anni o estemporaneamente per una notte e via, manco si trattasse di una sveltina “cook&go”. Ho perso il conto delle persone che ho incontrato a concerti, ascoltati o suonati in prima persona. Ho perso il conto di parecchie cose, in effetti.
Sicuramente, col tempo, ho mollato frequentazioni che, per dirla con Huysmans, mi avrebbero costretto a diventare una canaglia o un gonzo.
Ora, come ho più volte ribadito teste di granito, la perfezione non appartiene a questo mondo: chiunque la pensi in maniera diversa o è una canaglia, o un gonzo oppure, Dio non voglia, è Travaglio.
Ma…ma, esatto, c’è sempre un ma: viene il momento in cui ci si stufa, se niente niente si è muniti di elementare senso buono e, soprattutto, estetico, di stringere la mano a conclamati spacciatori, bolliti o ribolliti da mdma, cocainomani d’assalto che pure vantano cannuccia in oro zecchino appesa al collo, insicuri pluritatuati che millantano di “aver gestito giri” multimilionari a Londra (inspiegabilmente te li ritrovi puntualmente a servire gelati in riviera: riprova che mamma cocaina non paga più di tanto…), sedicenti “principi del foro” che nessuno ha mai visto in Tribunale ma che molti hanno visto in compagnia di minorenni levantine, teorici ottuagenari della “vacanza” a Phukett o Bangkok, tardivi “filosofi” della psichedelia che, nonostante notevole cluster di prole e fallimentari attività “HO-RE-CA” in gran guisa, insistono, tetragoni come un chelone, che la “Droga” giova, fa bene, spacca, funziona, aiuta, “apre-la-mente”, e, attenzione attenzione, “seleziona” i migliori.
Con “migliori”, è lecito supporre, essi intendono quelli che sopravvivono. Al “buco”, si capisce, ovvero quel rito che ha svezzato gran parte dell’Italia del Nord tra gli anni ’60 e gli anni ’80.
Ho usato il termine “Rito” non a caso: l’uso di sostanza psicotropa nel nostro ricco&grasso Occidente ha equivalso ed equivale tuttora per molti aspetti alla “paideia” spartana o zulu: quelli ammazzavano a 12 anni un lupo, un cinghiale o un leone con un bastone piroscolpito, noi (rettifico, prego: LORO) ci facciamo di “meth”, “crocodile”, “speed”.
E’ lo zeitgeist, bellezza: lo spirito del tempo. Del resto entrambe le cose garantiscono, per polarità specularmente avverse, una non marginale possibilità di scopare. O, meglio: ammazzare un lupo pressoché a mani nude lo garantiva quasi al 100%. Due involucri strafusi di meth assommano una non disprezzabile possibilità del 70/80%. Non male tutto sommato, ammesso che uno ancora si renda conto in quelle condizioni di infilare una propaggine del “sé” in un orifizio dell’ “Altro”. Confidando, per di più che in tale meccanizzazione biochimica “l’altro” sia di sesso femminile (parlo per il sottoscritto).
Ma lasciamo da parte le freud-considerazioni che, comunque, in una qualche misura nobiliterebbero uno scenario aberrante, di rarissima squalenza, per altro tutto, ma proprio tutto fuorché libertino.
Il problema è un altro. E, come spesso accade, è duplice.
In prima istanza: la droga è considerata fatto acquisito. Dato di Realtà weberianamente inteso. Inevitabile “male minore”. Inscalfibile elemento fattuale, oggettivo, ineluttabile.
Basta sentire i piccoli profeti della cosiddetta “autocoscienza” per rendersene conto: io vado in disco solo per ballare, so che certe sostanze girano ma a me non interessa.
Ecco, vedete, questi piccoli stronzi sono per tanti versi concausa dolosa del problema: sanno, non fanno e frequentano luoghi ove lo spaccio è conclamato. Come a dire “boh, tu fai quello che vuoi, io faccio quello che voglio e contenti tutti”. In regimi appena più seri del nostro questa si chiamerebbe connivenza attiva, corrività, forse favoreggiamento (perché comunque, pagato o omaggio che sia, un “ingresso” esiste).
In seconda istanza, vi immaginate uno di questi bei virgulti pronto e solerte a denunciare all’autorità competente l’eventuale smercio “ictu oculi”? No: nemmeno in un altro sistema solare.
Indi possiamo così riassumere: la “discoteca” è frequentata a corrente alternata ma complementare da soggetti che cercano attivamente, prima, dopo o durante non importa talune sostanze, e dall’altro da bravi rampolli che hanno acquisito cintura nera e master nel voltarsi dall’altra parte, spesso in limine conniventiae.
Personalmente non ho mai, dico mai, mai, mai neppure una volta conosciuto un proprietario di club che abbia attivamente contrastato lo smercio di merda (perché questo è: non “leggera”, “pesante”, “media”, ma semplice merda) nel suo locale. Più frequentemente ne ho conosciuti di conniventi. Qualche volta attivamente promotori e gestori del “black market”, vero core business di attività altrimenti fallimentari.
Il problema primario, ribadisco, è esattamente questo: il considerare e, soprattutto, lo spingere altri a considerare l’inevitabilità del “fatto psicotropo”. Il che spinge anche intelletti non da buttar via ad adottare un cauto appeasement: “tanto è così, che ci vuoi fare?”. Una rassegnazione ributtante e, per altro, non realistica: contrariamente a quanto propalano i fautori della “legalization” (il termine non è usato a caso in Spagnolo maccheronico…), la maggioranza dei consociati, specie se non frequentatori di fogne a cielo aperto tra Rimini e la Versilia, non ha mai sviluppato curiosità nei confronti della psicotropia d’assalto. Come sempre accade, i “liberal/libertari/liberazzatori” mentono SEMPRE. Gonfiano le statistiche, inventano dati, citano fonti malaysiane in riferimento all’Italia. Vero è che il fenomeno è fin troppo diffuso.
E qui entriamo nella filosofia spicciola affrontando il secondo aspetto del problema: non esistendo repressione percepibile, poiché siamo riusciti ad inventarci leggi deliranti che, di fatto, sanciscono il “diritto alla tossicodipendenza”, cianciano di “uso personale” (Da qualcuno l’avrai comprata: o mi dici da chi o sono 10 anni 10 di galera galera), di, delirio assoluto, criminale, imperdonabile, “percentuale di principio attivo effettivamente presente”, fatto salvo qualche arresto “vetrina”, tanto per placare una imbelle opinione pubblica, non esiste punizione effettiva per il consumo reiterato o meno che sia, l’unica soluzione praticabile sul lungo termine consiste nella rieducazione all’Estetica.
Ovvero: assumere, in qualunque guisa, modo, contesto è merda pura. E te lo insegno spaccandoti il culo sui banchi di scuola: non ti lascio il tempo né il modo di farti. E a forza di inculcarti Archiloco, Canova, Dante e Manzoni, Pareto e Smith, Seneca, Livio, Saffo&Alceo, Plauto e Marziale, Fidia e De Chirico. Tutto quello che serve ad educare al Bello, che, in quanto tale, è pure Buono. Ma questa è la soluzione di lungo periodo.
Sul breve periodo benissimo ha fatto lo Stato a chiudere un collettore di scempio sub-umano: punirne uno per educarne 10.000.
Soluzione “post-extremis”, certo: l’alternativa quale sarebbe stata?
Già me lo immagino: il pagare il Silver della situazione per redigere booklet a fumetti che mettesse in guardia i “giovani” sul, attenzione, “abuso” di droga. Come se esistesse un “uti” che non risulta “abuti” al riguardo. Il mito di certa sinistra (nonché di tanta destra…) che ha fatto contenti migliaia di psicologi d’accatto, cartellonisti, “consulenti”, “commissari”: redigere scartafacci che mettessero in quiescienza, con la loro TOTALE inutilità profumatamente pagata dal contribuente, la coscienza di una classe politica ed amministrativa imbelle, senza palle, avulsa dalla Realtà.
Ergo: meglio imporre stalinianamente chiusura che finanziare inutili e dannosi “manuali” informativi. Partendo da un semplice assunto: i “giovani” di droga e sesso (Di Rock’n’Roll no: non ne sanno più un cazzo. E questo la dice lunga…) ne sanno già ben più di qualunque puttaniere paternalista con la carnagione da cantore protestante.
Volete la riprova che quanto asserito finora è Pura-Verità-Rivelata?
La prima reazione di fronte all’editto Berja sulla diskutekka è stata: “Così è peggio: andranno a drogarsi in giro dovunque”.
Allora tu, gestore/institore/prestanome SAI: sai e conosci perfettamente. Ti è andata di culo per anni, forse decenni, ma tu per primo, come minimo, hai accettato uno status quo inaccettabile.
In un paese come il nostro, che grazie a soggetti come Guariniello ha consacrato il principio della responsabilità oggettiva quando si tratta di acciaierie, forse tanti sbraiti per una più blanda applicazione del medesimo principio in riferimento ad un cesso di discoteca implicano una, anzi, diverse cose: siamo coglioni; siamo abissalmente coglioni; ci contentiamo, come avrebbe detto Soljenicyn di “guardare” e “non sapere”; siamo prontissimi a chiedere risarcimento danni per comportamenti che noi stessi produciamo e fomentiamo; siamo disposti a farci ricattare ad oltranza da sbiaditi emuli del già discutibile Gigi Rizzi.
E a questi emeriti stronzi abbiamo pure dato in procura la capacità di omologare, per tutti, quello che DEVE essere divertimento e, soprattutto, quello che tale non DEVE PIU’ essere considerato tale. Not in my name: andate-a-fare-nel-culo.
10, 100, 1000 Cocoricò. Chiusi, ca va sans dire.
Ad maiora