Sfascismo scolastico doloso e colpevole, ovvero: la Testa del Serpente

 

Francesco Natale

 

E’ inutile: uno vuol starsene sereno e tranquillo a macinare sedicesimi sulla Stratocaster davanti all’inflessibile metronomo ma compie l’errore madornale, dovuto a diuturna abitudine quasi suicida, di accendere il monoscopio su “La7” e di beccarsi la Fedeli, vicepresidente del Senato, che macina cazzate sulla Scuola.

La migliore di sempre, sulla quale colei non vanta tuttavia copyright: “Dobbiamo (dobbiamo?!?) fare si che l’insegnamento si adegui alle nuove discipline indispensabili per formare i giovani di oggi”.

Ora, cazzo e porca puttana, diventiamo empiricamente fenomenologici per qualche istante e fermiamo a casaccio qualche bambino di 7/8 anni per strada.

Verifichiamo quindi qual è il suo livello di preparazione informatica.

Con ogni probabilità risulterà infinitamente superiore a quello del mio venerabile Padre il quale, bontà sua, una laurea in ingegneria elettrotecnica nel ’67 o giù di lì l’ha pure conseguita e di impiantistica elettrica ed elettronica si è occupato per buona parte della sua luminosa carriera.

Variamo il campo di indagine: interrogate un covenant di 11/12enni su contraccezione, sesso orale, “glory hole”, Sasha Gray, MILF, DP, “rainbow party”.

Dopo aver ampiamente vomitato anche quel panettone che vi stava sullo stomaco dal 1988 e aver rivalutato i correzionali di risorgimentale memoria vi stupirete vieppiù.

Eppure queste dovrebbero, anzi DEVONO essere, le scintillanti linee guida per l’aggiornamento della didattica.

Un dispendio potenzialmente enorme di risorse per “spiegare” ai nostri virgulti ciò che essi già perfettamente conoscono.

Ovvero: una cazzata epocale.

Ma, ATTENZIONE, una cazzata dolosa, tutt’altro che incolpevole, anzi pervicacemente voluta, fertilizzata, amorevolmente coltivata.

La ragione è presto spiegata: la demolizione sistematica del nostro apparato scolastico, con particolare riferimento al Liceo ma non solo, è stata ed è perfettamente funzionale alla produzione ed allo stockaggio di materiale umano culturalmente infimo e, in quanto tale, adeguatissimo a dare polpa e corpo ad un “nuovo” modello sociale. Un modello sociale liquido, fluido, disgregato e disgregante, sradicato e pertanto privo di prospettive reali. Un Nulla gassoso e fetido pronto a riempire di volta in volta il “vaso” (di Pandora. Comunque e sempre di Pandora) che il demiurgo del caso imporrà, però attenzione, PROPONENDOLO “democraticamente”. Automi di rarissima beceraggine autoconvinti di essere liberi e liberati. E, difatti, tutti infatuati del nuovo feticcio totemico indispensabile a bilanciare e a rendere così mortalmente efficace questo nuovo Moloch divoratore di giovani discenti: l’infame “meritocrazia”.

Scendiamo più nel dettaglio.

A partire dall’abominevole riforma Berlinguer abbiamo intrapreso una spirale distruttiva sviluppatasi in progressione geometrica con le successive riforme Moratti e Gelmini.

Berlinguer, che da buon comunista aveva ovviamente affrontato severissimi studi tradizionali, aveva capito perfettamente che il Liceo rappresentava la palestra formativa delle future classi dirigenti.

La ragion di partito coniugata a non poca sua frenesia demiurgica fu il principale motore di quella sciagurata riforma: aggressione sistematica perpetrata ai danni di quella medesima scuola che tutti i compagni “evoluti” avevano frequentato.

Dalle sottigliezze dei test a crocette per la valutazione dei docenti (si: non sono un invenzione d’epoca renziana) fino ad aberranti “sperimentazioni” in base alle quali, ad esempio, in taluni sezioni dei Licei Classici il Greco era oggetto di disamina scritta (solo scritta) nel primo quadrimestre ed orale (solo orale) nel secondo.

Le riforme successive, piegate a novanta di fronte al mantra/slogan berlusconiano delle tre “i”, Internet, Informatica, Inglese, hanno prodotto danni mostruosi e imperdonabili sia alla classe docente che a quella discente.

Anche qua, demiurghi al lavoro. I quali essendo cresciuti col mito dell’azienda, del management, della “borghesia illuminata”, del marketing, dell’acronismo di maniera germinale di una pessima “new economy” di là da venire, paternalisti come solo i “cummenda” meneghini muniti magari di triplo cognome sanno essere nei confronti del Popolo, che in realtà hanno disprezzato e disprezzano in somma misura, si sono sentiti investiti di una sacra missione, benedetta dal parvenù di Arcore, ovvero risistemare LORO quelle due o tremila cose che, sempre a giudizio LORO, nella scuola non andavano mica bene.

Produttività e azienda. Mondo del lavoro e azienda. Azienda e azienda. Stocazzo e azienda.

Abrogate le valutazioni numeriche poiché “vecchie”, introdotte radiose perifrasi quali la “quasi sufficienza” che ancora oggi non si sa che cazzo voglia dire, espunto il Latino da taluni Licei (Liceo Scientifico Tecnologico: uno scempio cacofonico per indicare l’ennesima fabbrica di geni incompresi), introdotti seminari scuola-azienda (si, DI NUOVO quella nefasta parola) per la maggior parte MAI avviati (e per fortuna…), alunni che diventano “utenti”, Preside che diviene “dirigente scolastico”, Programma che diventa “POF”, termine giustamente onomatopeico per indicare una cagata pazzesca.

E gli istituti professionali, una volta non necessariamente lager-parcheggio per soggetti problematici ma anzi svolgenti una notevole funzione sociale? Dimenticati e abbandonati a loro stessi confidando nella loro autodemolizione: obiettivo centrato, ca va sans dire. Del resto ce l’avreste mai vista una Moratti od una Gelmini a far visita all’ITIS di Sestri Levante o all’IPSIA di Caserta? No, vero? Ci mancherebbe: la morchia dei tornii le avrebbe potuto sporcare uno dei tre cognomi…

Ma qui non stiamo a difendere romanticamente “la bella scuola di una volta” nella quale fioccavano insufficienze e mazzate come la neve natalizia a Cortina.

La “modernizzazione” della Scuola ha fallito NON perché non sia riuscita bene e compiutamente.

Ha fallito esattamente per la ragione opposta: è riuscita “bene” e “compiutamente” secondo quanto fu VOLONTARIAMENTE stabilito da una classe politica pericolosa e liberticida prima e totalmente insipiente, supponente, tronfia, “nekulturnj”, per dirla alla russa, dopo.

Fatto sta che l”obiettivo è stato conseguito con pieno successo

Perché la prima e più eccellente vittima di questo stupro premeditato ai danni della nostra società intera è stato l’apparato critico.

Ovvero quello strumento straordinario, stratificato, modulabile che consentiva allo scolaro di imparare gradualmente a leggere ed interpretare la Realtà.

Le nozioni erano il seme (indispensabile), da cui germogliava, attraverso quel rapporto straordinario e spesso conflittuale tra insegnante ed alunno, l’apparato critico.

Grazie al quale si acquisiva il senso, talvolta doloroso, della Libertà.

Libertà di imparare AUTONOMAMENTE ad utilizzare un computer o ad apprendere una lingua straniera senza necessità di “corsi”, “seminari”, “stage” (parola veramente da BANDIRE). Libertà di sfogliare un quotidiano e di capire almeno il 50% di ciò che vi era sopra riportato. Libertà di intraprendere un percorso di studi universitario NON necessariamente interdipendente dalla scuola superiore frequentata. Libertà consistente nella capacità di filtrare i contenuti: poter guardare il TG4 senza essere buggerati da Emilio Fede o leggere Il Fatto Quotidiano facendo debita tara sulle inclinazioni persecutorie e persecutive di Travaglio.

Apparato critico, insomma, che era il più straordinario strumento di formazione e, soprattutto, di autodifesa che il “giovane” aveva a disposizione.

Oggi ci stupiamo nell’apprendere che ogni due per tre valenti tredicenni si accoltellano nei cortili scolastici, che stuprano coetanee, molestano insegnanti giovani e ben carrozzate, filmano pompini nei cessi o danno fuoco a un senza tetto “per vedere l’effetto che fa”.

A parte l’innaturale regressione del materiale umano e l’oggettivo scollamento del tessuto sociale, nel quale imperversano i nostrani “ninos de rua”, figli senza Padre e/o senza Madre ma comunque benestanti al contrario degli omonimi brasiliani, è stata proprio la demolizione dolosa dell’apparato scolastico a fare proliferare a dismisura fenomeni ancora poco tempo fa inauditi.

Alla scuola del Coraggio, quella che pestava come la canapa, ti spaccava le reni a suon di versi di Archiloco da mandare a memoria, a botte di parafrasi dantesca, perennemente sottoposti a pioggia incessante di versioni di Tacito, Livio, Seneca, abbiamo sostituito VOLONTARIAMENTE la scuola della vigliaccheria. Piena, totale, inescusabile.

Oggi cerchiamo di blandire il “giovane” offrendogli cose che egli già purtroppo possiede: pretendiamo di educarlo ritualisticamente all’uso di macchine che, avendo iPad e smartphone sostituito Masters e Big Jim, già conosce meglio di quell’imbecille lontanamente imparentato se non per gameti che glieli ha poggiati con indifferenza nella culla. Pretendiamo paternalisticamente (e massonicamente, ovvio) di “educarlo” ad una sessualità che colui e colei già praticano magari dai 10/11 anni. E senza aver mai letto una riga di Plauto, Marziale o dell’Aretino. Ovviamente siamo in primissima linea quando si tratta di levare Crocifissi, abolire Presepi, bruciare alberi di Natale, spaccare uova di Pasqua. Un novello rogo dei libri nazista.

Ma al cosiddetto “giovane” badiamo bene di non offrire l’unica cosa di cui ha realmente bisogno e che la Scuola di una volta, con la sua severità invece offriva: una prospettiva ALTRA. Una prospettiva solida, radicata, efficace perché ha resistito alla prova dei millenni.

E questa è, senza dubbio alcuno, la Testa del Serpente: quella che andrebbe schiacciata con estremo pregiudizio per impedirgli di mordere ed avvelenare.

Il disastro sociale cui stiamo assistendo narcotizzati così come l’avvento di un nuovo classismo (i ricchi e ricchissimi ancora si possono avvalere di prestigiosi ed arcaici collegi con regole da Gulag. Poi votano Vendola, M5S e Forza Italia, ok, ma al benessere futuro della prole ci pensano. Eccome) originano entrambi da qui: dallo strame che abbiamo fatto della nostra istituzione scolastica.

Perché dopo la morte dell’apparato critico, per il quale sarebbe almeno d’uopo trovare adeguata e dignitosa sepoltura, c’è stata una seconda vittima incolpevole: l’Estetica.

L’educazione al Bello. Che in quanto tale è anche Buono. E allora tanto vale consumarsi di seghe su “youporn” piuttosto che ascoltare le nenie di quel grigio burocrate, di quell’apparatcik spento ed asfittico che ciancia di “costituzione” e “solidarietà” dietro una cattedra. In assenza di qualsivoglia guida, tutto è indifferente. Soprattutto se a portata di mano.

Ora, fatti salvi quei pochi pasdaran della didattica, che ancora grazie a Dio ci sono, si fanno venire un fegato grosso come quello di Jack Nicholson e sono ovviamente mal visti dal Ministero in quanto non allineati né allineabili, i quali ancora si fanno un mazzo di culo quadro per educare al Bello la masnada di picari che si ritrovano in aula, mi volete dire come cazzo fa un insegnante medio, già magari vittima di orribili complessi di inferiorità, di pessime letture, di stipendio da fame,  di mimetismo forzoso e coatto di fronte alla “istituzione” che sotto sotto lo disprezza, a parlar di Estetica quando è vessato da circolari ministeriali su integrazione, discriminazione, gender, sessualità, solidarietà, partecipazione, minoranze, multiculturalismo, laicità, darwinismo, film coi gladiatori, corsi d’aggiornamento obbligatori sulla numismatica e lo shiatsu, femminicidio, bullismo, omofania, conferenza di Saviano per l’assemblea d’istituto, ermeneutica della “prof” Litizzetto? Non può, vero?

Ovvio: perché anziché di questo immane cumulo di merda inadatto persino a concimare un campo di ortiche dovrebbe occuparsi di ben altra cosa. Ovvero, semplicemente, insegnare.

 

Ad maiora