Lo psicodramma “Impresentabili”: ovvero essere così coglioni da creder che la mafia sia stupida

 

Francesco Natale

 

Da dove cominciare? Potremmo esordire così: non solo siamo un Paese che vive di mitologia spuria, ma siamo pure un gigantesco collettore di acque reflue, un depuratore che funziona alla rovescia riversando nel nulla l’acqua per trattenere solo le deiezioni, destinate poi a ghiottissime abbuffate. Siamo dei gourmet della merda, in poche parole.

In prima istanza un paese che garantisce ad un soggetto come la Bindi la potestà di attribuire la patente di legittimità elettorale passiva a chicchessia, senza filtri o paletti, è giunto ben oltre i famigerati “ultimi giorni di Bisanzio”: è pronto, anzi, per l’Exterminatus di warhammeriana memoria.

In seconda istanza, vedete, io non ho idea alcuna di chi siano effettivamente i capicupola di mafia, ‘ndrangheta, camorra, sacra corona unita, seguaci avventisti di Baal-Shamaroth.

Ma una cosa la so per certo, certissimo anzi: chiunque essi siano si stanno ammazzando dalle risate in queste ore.

Allo snocciolar d’ogni nome presente sulla lista bindiana, dal Salento alla Sila, passando per i Nebrodi su su fino a Borghetto Santo Spirito e Vallecrosia e giù di nuovo fino a Spaccanapoli e Mazara del Vallo, scoppiano obese risate che manco durante una gara di fescennini o una rappresentazione plautina.

Ridono di noi. Esattamente: ridono di un intero paese popolato da, in mancanza di più adeguato eufemismo, emeriti coglioni.

Perché delle due l’una: o crediamo che la “mafia” nelle sue varie e folkloristiche declinazioni regionali sia effettivamente organizzazione criminale ramificata, potente, perniciosa, insinuante, permeante ogni aspetto del vissuto quotidiano, pericolosamente violenta, regista occulto dei patrii destini oppure cediamo, proni a 90 gradi e grati della diuturna inculata, alla vulgata in base alla quale quel brodo primordiale di cromosomi a casaccio di Totò Riina sia stato davvero un potente e rispettato “capoclan”, che Ciancimino sia ora e sempre il “teste Omega” fondamentale&fondativo, che quel pastore di gatti di Provenzano sia stato al vertice della mitizzata “cupola”.

La differenza tra le due attitudini è di non poco momento: perché risolve in via definitiva una dicotomia autoindotta con la quale, evirati, narcotizzati e vigliacchi come oggi siamo, ci siamo abituati a convivere facendo finta di nulla.

L’assunto di partenza è quantomai semplice: nessuno conosce bene legge, popolo e “zeitgeist” come coloro che delinquono professionalmente e da lungo tempo.

Loro, meglio di qualunque giudice costituzionale o avvocato di grido, conoscono alla perfezione tutte, nessuna esclusa, le smagliature del nostro apparato giudiziario, istituzionale, legislativo.

E sanno come sfruttare dette smagliature con efficacia stupefacente.

Se veramente crediamo, quindi, alla “infiltrazione mafiosa” nelle istituzioni e nei corpi intermedi politici, cosa più che possibile e, in taluni casi, conclamata da evidenza fattuale non discutibile, ebbene, nessuno dei nomi presenti su qualunque “lista” di proscrizione sarà mai un potenziale cavallo di troia (vincente, si intende) sponsorizzato dalla “onorata società”, latore dei “desiderata” di quest’ultima.

Se la “mafia” è davvero così potente, come probabilmente è, sceglierà soggetti di specchiatissima reputazione, completamente immuni alla bulimia etico/morale di soggetti surreali, post-puritani fuori tempo massimo, cattoabortisti magari, il cui bacino elettorale di riferimento è fatto da suore spretate e “preti” che alle Sacre Scritture hanno da tempo sostituito la co-sti-tu-zio-ne (e l’opera omnia di Martini e Mancuso, ovvio).

L’idea stessa che i professionisti dell’antimafia militante, dal “popolo delle agendine rosse” di Ciotti e della sua “Libera” ai più scaltri ed “evoluti” Travaglio e Saviano, considerino la “mafia” così stupida e insipiente da farsi fottere da liste bindiane o, peggio, dalla metafisica della “legalità” (come se il semplice pronunciar tale parola avesse capacità demiurgiche) è talmente infantile, contraddittoria, stupida da risultare ripugnante ed offensiva per un qualunque cranio normodotato di materia grigia.

Ne segue, in automatico, che se davvero bastasse una presidente di commissione parlamentare, per altro non munita di intelligenza flamboyant, per ripulire il paese dalla mefitiche incrostazioni mafiose, il problema non sussisterebbe nemmeno, ma si risolverebbe in re ipsa.

Con ogni evidenza possibile, così non è.

Siamo di fronte, anzi, ad un caso lampante di contiguità oggettiva, per quanto incolpevole e, ahimé Dio ce ne scampi e liberi, perpetrata in buona fede.

Perché almeno nella maggioranza dei casi, nessuno contribuisce, in buona fede sottolineo, quanto l’antimafia militante alla costante, quotidiana persecuzione di falsi bersagli, spesso e volentieri costruiti e sacrificati “ad hoc” dalla “mafia” stessa.

Staccate per un attimo il cervello dall’ammasso, quello stesso ammasso che considera alla stregua di Richelieu un subnormale come Riina (Nota bene: gli hanno pure dedicato un seguitissimo serial televisivo. La popolarizzazione del fenomeno dovrebbe indurre al sospetto anche i più imbecilli tra gli imbecilli), e pensate, per una volta: come credete che reagiscano i veri “pupari” di fronte alle fiaccolate di protesta (sempre post-mortem di qualcuno. Mai in-vita del de cuius…), all’indignazione (parola da bandire) palermitana epifanizzata da manine grassocce che sventolano simulacri di agendine, alla retorica oscena del pentitismo (spesso eterodiretto dalla “mafia” stessa: parole -e atti- di Giovanni Falcone, non di un cazzaro qualunque come il sottoscritto, il quale, Falcone, si permise pure di denunciare “pentiti” pilotati attirandosi l’odio sempiterno di tanti “colleghi” magistrati), al savianismo che in maniera perfetta, per quanto soporifera, mescola detto, non detto, lacrime napulitane, buoni sentimenti e prudentissima attenzione nel passeggiar sulle uova, un funambolo che “chiagne&fotte” insomma, ai concorsi di disegno tematico per bambini il cui “leidmotiv” è “NO alla mafia”?

Semplice: ridono. Come pazzi. Si sbellicano dalle risate alla faccia nostra, pisciando a fontana sui “buoni sentimenti”, sulla famigerata “indignazione” che non serve ad una minchia alla stregua della maledetta, maledettissima “legalità”. Parole vuote, senza capo ne coda, senza alcun contenuto, eppur potentemente narcotiche e in grado di fornire ad un popolino ormai criptorchide oltre ogni possibile misura indulgenza, giustificazione, assoluzione. Basta pronunciarle, con adeguato e sofferto accento calabro-siculo-ligure, magari sospirando affranti e versando qualche lacrima di circostanza per sentirsi “a posto”. Per credere davvero di aver inferto un colpo mortale all’onorata società.

Come se di fronte ad un parastato oggettivamente esistente che utilizza in maniera sistematica la violenza fisica e psicologica per consolidarsi ed espandersi bastasse davvero strepitare in patois davanti ad una telecamera o, peggio, come se bastasse organizzare a Bruxelles (si: in Belgio. Appunto) “convegni sulla legalità” per cambiare qualcosa.

Come sempre accade in questo sventurato paese almeno dal 1992 ad oggi, nessuno è così pervicacemente nemico della Morale quanto i moralizzatori d’assalto.

Ovvero quei soggetti annidati come serpi in curie, redazioni di giornali “a la page”, partiti politici dal nome cacofonico nati e proliferati all’ombra del manipulitismo (per poi nebulizzarsi in una nuvola di merda: Dio ha il senso dell’umorismo), promotori occhiuti di manifestazioni e sit-in, amministratori di ONLUS e ONG, cattedratici da Palasharp, “costituzionalisti” di grido, presentatori televisivi dal pallido incarnato di cantore protestante, i quali ci hanno inculcato nelle molli menti un concetto, un’idea di rarissima perversità, di abominevole barbarie e pur seducente come una puttana caldea: la possibilità di imporre per legge la “morale”. La capacità demiurgica della legge di mutare, in un battito di Gazzetta Ufficiale, lo stato REALE delle cose. L’efficacia indiscutibile del diagramma cartesiano/giudiziario nell’individuazione del “bravo politico”, del “bravo giornalista”, dell’ “onesto amministratore”, e via così di puttanata in puttanata.

L’evidenza fattuale ci narra un’altra storia: la corruttela è sistematicamente aumentata (parola di ISTAT: e chi siamo noi per contraddire?) dopo il commissariamento del Parlamento da parte della magistratura nei primi anni ’90. La auspicata palingenesi dell’apparato politico non solo non è mai avvenuta, ma anzi si è prodotto il risultato opposto.

La bulimia moralista divenuto unico “ubi consistam” di una certa classe politica che non vorremmo neppure come guardiana di un garage in centrocittà ha prodotto una pletora non misurabile di “codici etici”, “regolamenti”, “conventiones ad excludendum”, “carte dei valori” (altra parola da bandire con estremo pregiudizio) il cui unico risultato è stato, di fatto, garantire un formidabile grimaldello a quanti davvero delinquono professionalmente e, in quanto tali, saranno sempre non uno ma dieci passi avanti rispetto a qualunque moralista d’accatto, soprattutto se quest’ultimo ha pure la zavorra sisifea della “buona fede”. Orpello decisamente inopportuno quando si vuole fare il culo alla criminalità organizzata.

Ma tant’è ormai il danno è fatto, e il punto di non ritorno superato da lungo tempo: preferiamo non pensare e credere ciecamente a quanti della “legalità” e della “indignazione” ad intermittenza hanno fatto proficua professione.

Vale oggi più che mai il brocardo “Summum ius, summa iniuria” o, più prosaicamente, “Fatta la legge, gabbato lo santo”: perché mai come oggi abbiamo creato, grati e belanti come pecore, il perfetto apparato “regolamentare” per riempire a piene mani le istituzioni politiche ed amministrative di veri mafiosi, di veri delinquenti, di abili e capaci mestatori. I quali, una volta di più, ridono. Fino allo spasmo.

Perché se davvero i cosiddetti “impresentabili” sono 16 e solo 16, la conclusione assiomatica che dobbiamo trarne è una ed una sola possibile: la “mafia” non esiste. Neppure è mai esistita. Con buona pace di Falcone e Borsellino, alle cui farsesche “commemorazioni” partecipano puntualmente e in prima fila i mandanti morali del loro martirio, versando ovviamente lacrime di Giuda profumatamente pagate a cottimo.

Da noi, emeriti coglioni.

 

Ad maiora