Perché se fossi romano voterei per Mario Adinolfi sindaco

Francesco Natale

Togliamoci subito l’incombenza rispondendo al quesito e dettagliamo a seguire la faccenda: voterei per Mario Adinolfi al Campidoglio perché è l’unico soggetto politico che ha veicolato e sta veicolando contenuti. Si: avete capito bene. NON semplici “contenitori”, ma contenuti.

Che questi contenuti (insisto nella ridondanza: confido che subliminalmente questa parola vi si imprima a caratteri di fuoco nella mente, adorate teste-di-granito…) siano o meno condivisibili è affar vostro: l’importante è che, finalmente, siano presenti e, soprattutto, tornino ad assumere il ruolo che è loro proprio, ovvero essere fulcro di qualsivoglia azione politica, foss’anche limitata ad una riunione di condominio a Borgio-Verezzi.

Se avete stomaco a sufficienza e caffettiere da 12 piene e pronte all’uso provate ad ascoltare per una decina di minuti qualsivoglia servizio televisivo dedicato alle imminenti amministrative capitoline. Lasciate perdere il leggerne sui giornali: in quel caso nemmeno l’anfetamina vi salverebbe da repentina narcolessia.

Il cosiddetto “centro-destra” parla fondamentalmente di una sola cosa: di sé stesso con sé stesso. Come del resto fa da 15 anni buoni. Una palude sconfinata ove si agitano, come protozoi nel brodo primordiale, nuove e vecchie “glorie” alla ricerca, più che legittima per carità, di uno strapuntino che dia loro una tridimensionalità politica per sempre perduta grazie ad un perdurante autolesionismo che manderebbe in solluchero De Sade. Un Bertolaso che, evidentemente dopo aver subito la rimozione chirurgica del senso del ridicolo e del discernimento, dichiara a microfoni aperti di essere “un decisionista”: dal Gianicolo all’Anagnina passando per Testaccio, Via Condotti, Nomentana, Garbatella, giù fino a zona Castelli l’eco delle scroscianti risate non si è ancora spento. E perché abbia investitura definitiva, per altro, dovrà attendere fino allo spasmo l’ultimo sondaggio damocleo della Ghisleri, anche se egli fa finta di non saperlo.

Autoreferenzialità totale.

Ma sono, ovviamente, in buona compagnia.

Giachetti pare sia stato, con ogni evidenza, morsicato dalla Serracchiani: stesse modalità espressive, stessi stilemi linguistici, stessa, identica, fumosità. Alla quale si aggiunge, per buona misura, l’attenzione estrema, maniacale, berlusconiana in termini rovesciati, nel dimostrarsi perennemente preoccupato di fronte alle telecamere.

Ha dimenticato che parlare per telegrammi con tono grave e ruga sulla fronte d’ordinanza funzionava (e non sempre) per Enrico Berlinguer debitamente coadiuvato da “suor Pasqualino” (Tonino Tatò, per chi è nato negli anni ’90).

Il simulare perenne contrizione, col viso smunto e affranto, la sparuta barba di quattro giorni, l’attitudine da “non-dormo-da-mesi-pensando-ai-destini-infausti-di-Roma” lo rendono più affine ad un manifesto anteguerra sulla crisi dell’agricoltura e seducente quanto una vecchia “carabosse” dipinta da Goya. O quanto uno straccio per pulire i vetri.

Non parla di nulla, non dice nulla, non trasmette nulla.

Blatera alla bell’e meglio i “mantra”, vendemmiati temporibus illis nella vigna del politicamente corretto da Marcolongo e Baricco (o chi per loro…). Puro contenitore, zero contenuto.

Apparenza spinta al parossismo, nessuna sostanza percepibile: roba che al massimo potrebbe convincere qualche anorgasmica scrittrice di galatei adusa a sorseggiare con mignolino alzato té allo zenzero&goji in quel di salotto Crespi.

Virginia Raggi, che pure pareva avere qualche freccia al suo arco oltre all’indubitabile avvenenza, concentra tutto su vetuste contingenze, come mille altri hanno fatto prima di lei, non ultimo il disastroso Marino: “onestà”, “trasparenza”, “stop agli sprechi”, “no a mafia-capitale”, “si alla metro C”, “dire, fare, baciare, lettera, testamento”. Ok: va bene. E i CON-TE-NU-TI politici dove stanno? Pare di sentire l’Orlando o il Ciotti di turno quando sbraitano “Noi siamo contro la mafia!”. E perché, c’è forse qualcuno che si dichiara apertamente favorevole all'”onorata società”? Tornano alla mente le famigerate “affermazioni cretine” caratterizzanti, ad esempio, l’insulsa retorica di Gianfranco Fini, ovvero quelle affermazioni le quali, qualora se ne ribaltasse il significato, produrrebbero una locuzione aberrante. Sperimentate voi: siamo favorevoli alla mafia, alla disonestà, al malaffare; faremo di tutto per non aprire la linea C della metro, per aumentare i livelli di inquinamento, per calpestare il dettato costituzionale, per diminuire i posti di lavoro. Ribaltatele a avrete bell’e pronto un discorso dell’ex vate di AN. Un cumulo di ovvietà spaventose che non significano nulla di nulla, ma spendibili in ogni stagione ed in ogni luogo, adattissime ancor oggi a suscitare il plauso di una platea di zombi festanti, magari cultisti di cazzate tipo “acqua pubblica” e “reddito di cittadinanza”.

Su Marchini sospendo giudizio: a me sta pure marginalmente simpatico, per carità, e forse quel suo piglio da “viveur” di borgata risulta pure più attraente del nulla che lo circonda. “Roma ti amo” non è neppure un bruttissimo slogan. Ma basta davvero il piglio da golfista con pettina aerodinamica “a spoiler” e il “passe-par-tout” per quasi ogni palazzo della Roma “in” per riempire di CON-TE-NU-TI un vaso vuoto? Non credo. L’aver incassato il placet di quell’edera rampicante di Alfano, per altro, non depone decisamente a suo favore.

Tralasciando il discorso riguardante la pletora di altri candidati, presenti o potenziali, l’unico discorso prettamente politico lo ha fatto e lo sta facendo Mario Adinolfi, coniugando alla sua risalente esperienza personale l’esigenza profonda, viscerale, impellente che il Popolo del Circo Massimo, una piattaforma politica trasversale “in re ipsa”, checché ne possano dire i timidi e i pavidi, ha apertamente espresso lo scorso 30 Gennaio.

Un Popolo non più capace di riconoscersi forzatamente in una classe politica che ne ha sistematicamente ignorato le istanze, dimostrandosi per altro, indipendentemente dalla “bandiera” di appartenenza, completamente avulsa dalla Realtà.

Disprezzando anzi, spesso e volentieri, il vissuto quotidiano di soggetti (innumerevoli!) sostanzialmente qualificati come rompicoglioni “divisivi”, fino a che non si tratta, ovviamente, di andar a mendicare il loro voto.

La questione non riguarda solo e tanto la “rappresentanza-dei-Cattolici-in-politica”: riguarda casomai l’unica battaglia di civiltà possibile, ovvero ricondurre la Politica al suo ruolo principe, cioè la Difesa della Vita.

Difesa della Vita che non si limita “solo” alla questione riguardante aborto ed eutanasia, ma coinvolge con nettezza cristallina ogni aspetto del nostro vivere sociale.

Difesa della Vita vuole dire aiuto concreto alla Famiglia, cellula fondativa della nostra società e, che lo si voglia o meno, pietra angolare della medesima: una pietra angolare sulla quale pressoché tutti coloro che ci hanno governato negli ultimi 20 anni hanno sistematicamente pisciato sopra, limitandosi, nel caso migliore, a lanciare sdegnosamente qualche nocciolina.

Difesa della vita vuol dire revisione del regime fiscale: perché senza pane e denaro comunque non si vive decorosamente.

Vuol dire riassestamento del mercato del lavoro non solo in termini premiali per la “solita” impresa, ma innanzitutto affinché la Maternità non sia considerata sventurata zavorra per la Donna.

Difesa della Vita vuol dire RESPONSABILIZZAZIONE del cittadino, il quale più di ogni altro conosce e, si suppone, ama il contesto in cui vive: e per tanto non può vedersi costantemente impedito nella tutela del medesimo, in termini di decoro e vivibilità, da una amministrazione perennemente assente se non quando si tratta di mettere i proverbiali bastoni tra le ruote, facendo proprio l’abominevole brocardo in base al quale “L’inefficienza pubblica non può tollerare l’efficienza privata”.

Difesa della Vita vuol dire cercare di preservare al massimo grado l’incolumità e la dignità della persona, troppo spesso cornuta e mazziata, specie in taluni contesti disagiati, sulla base di assunti “sociologici” vecchi di 50 anni secondo i quali chi delinque è comunque vittima o, al più, concorsualmente colpevole con la “società” per presunte e nebulose “responsabilità collettive”.

Vuol dire che ad ogni Diritto, perché possa vantare la “D” maiuscola, corrisponde un Dovere, altrimenti si parla di nulla.

Vuol dire pertanto ascrivere il diritto/dovere all’educazione dei Figli in primo luogo alla Famiglia, e NON all’istituzione scolastica sulla base del diktat massonico-illuminista tanto in voga, ad esempio, in Francia, per il quale è lo Stato l’entità suprema preposta all’educazione dei giovani “cittadini” e la famiglia ha un ruolo residuale, che comunque non deve mai risultare confliggente con quello del moloch statale.

Difesa della Vita vuol dire collaborazione e sinergia con i corpi intermedi, ovvero sussidiarietà: perché non è pensabile né ipotizzabile che l’amministrazione pubblica si occupi efficientemente di tutto, sempre e comunque, come vorrebbero farci credere burocrati e “riservisti” della Repubblica anagraficamente contemporanei di Tutankhamon, perennemente infatuati di costrutti di ingegneria sociale sempre più complessi, stratificati e, soprattutto, inutili quando non apertamente nocivi, ma indispensabili per il mantenimento di rendite di posizione tra le più proficue che il pubblico possa garantire, in termini di emolumenti e, ancor più, di smisurato e incontrollato potere sui Cittadini.

Difesa della vita significa riqualificazione urbanistica partendo dal primo elemento che davvero ha importanza al riguardo: l’Uomo. La Persona. La quale non ha solo “diritto” ad un loculo all’interno di quartieri dormitorio e ad una fermata d’autobus ragionevolmente limitrofa, ma soprattutto ad un contesto integrato che, nei limiti del possibile, sia a sua misura e non diventi, come troppo spesso accade, fucina di degrado sociale e morale senza precedenti, nel quale la “dimensione metafisica” dell’intimità della casa è inesistente, nel quale trovano fertilissimo terreno depressione, alienazione, straniamento, solitudine, delinqueza, vessazione.

E questi, cari miei, sono CON-TE-NU-TI.

Contenuti che può veicolare solo chi una ha percezione , forse non completa (nessuno è perfetto) ma comunque efficace, “terrigena”, umana nel senso più vero e meno lacrimevole del termine, del Reale.

Al contrario di quanti si abbandonano a proclami preconfezionati come surgelati, poiché, non fregando loro nulla di nulla, l’unica cosa che mirano a fare è non risultare “divisivi”.

Passeggiare sulle uova badando bene di rompere meno gusci possibile.

Ovvero considerare l’elettore un coglione terminale da blandire con paroline melmose, affrante o paternaliste a seconda della contingenza.

Mario se ne strafotte di essere “divisivo”, e viva Iddio: ci mette di fronte ad una scelta chiara, perché sappiamo cosa vuole, quale battaglia ha portato e sta portando avanti da anni, quanto è riuscito, coadiuvato da numerosi amici che hanno dimostrato spirito di sacrificio e abnegazione straordinari, a rimettere in discussione fenomeni ed argomenti in apparenza percepiti come “dato acquisito” non più modificabile, dimostrando che l’appeasement di Cattolici e laici, atei e miscredenti i quali tuttavia NON si riconoscono in modelli sociali profondamente contrari alla Vita vista nella sua interezza, era solo apparente.

Era fondamentalmente dovuto ad una narcosi progressiva eteroindotta, che da un lato ci ha costretto nell’angolo buio del fatalismo, dall’altro ci ha obbligato a scegliere sempre il “meno peggio”, confidando perennemente in “tempi migliori” mai destinati a manifestarsi.

Amici romani, voi che potete votate per chi, con tutte le sue pecche delle quali mai ha fatto mistero, ha dato un contributo determinante a risvegliarci dall’incubo del nulla, da un “inferno artificiale”, magari comodo e deresponsabilizzante, che risultava apparentemente senza via di uscita. Votate per chi dopo decenni di pappette&zuppe&minestre sciape, di vomitevoli frullati di perbenismo militante, ci ha fatto, pure nostro malgrado magari, riazzannare l’abbacchio dell’unica Politica possibile: quella che è fatta di Carne, di Sangue, di Spirito. Di Persone, in una parola: non di automi, non di “fenomeni sociali”, non di sagome cartonate. Persone. Semplicemente…Persone.

 

Ad Maiora.