Referendum: il “NO” come ultimo rimedio alla nostra imbecillità suicida

 

Francesco Natale

 

Invidia sociale. Imprimetevi a fuoco queste due parole nella mente. Invidia. Sociale.

Non intendiamo qui l’insieme di neurotiche reazioni che animano Paperino quando il suo vicino di casa Anacleto Mitraglia si compra un barbecue in Swarovsky pitonato o una fuori serie da Bokassa al solo scopo di umiliare la leggendaria “313”.

Parliamo di qualcosa di infinitamente peggiore, più insinuante e ramificato, una ossidante malvagità sottotraccia che permea da una ventina d’anni a questa parte il vissuto quotidiano di tantissimi, troppi Italiani.

Parliamo del carburante che ha riempito e riempie tutt’oggi fino alla tracimazione il serbatoio di certa “magistratura” il cui unico scopo è stato l’occupazione “manu militari” dell’alveo tradizionalmente e costituzionalmente riservato alla Classe Politica.

L’odiatissima e vituperata Classe Politica.

Ebbene, non siamo qui oggi per difendere una specifica Classe Politica o per analizzarne la minor o maggiore credibilità, capacità di Governo, efficacia nel concretizzare la propria agenda.

Non è questo l’aspetto rilevante, bensì un altro.

Solo chi è profondamente depravato o pazzo o coglione può pensare che il ridimensionamento numerico della rappresentanza così come l’abolizione “de facto” del decentramento amministrativo possano essere “passi in avanti”, “battaglie di civiltà”, “riforme necessarie e doverose”.

Come tutti i coglioni degni a pieno titolo di tal nome il nostro Italiano medio che odia pregiudizialmente la Classe Politica non si rende conto (o finge di non rendersi conto) di stringersi autonomamente il nodo scorsoio al collo e di cingersi autonomamente le manette ai polsi.

Il classico deficiente che si chiude il cazzo nella cassettiera per far dispetto alla moglie.

Da un lato strepita a gran voce parole prive di significato, poiché da nulla sostanziate, quali “libertà!”, “onestà!”, “trasparenza!” e dall’altro, solitamente in maniera inconscia, spiana la strada all’omologazione europeista che ci vuole tutti uguali, tutti aplastici, ovvero privi di forma definita, tutti burocratizzati secondo uno standard unico, proni ad un pensiero unico, debellati secondo un format unico.

Una tendenza suicida che, esclusa la fantascienza “noir”, si può spiegare solo ed esclusivamente chiamando in causa le due paroline di cui sopra: invidia sociale.

Entrando nel merito e semplificando il nostro coglione medio è convintissimo dell’esistenza di un nebuloso nesso causale in base al quale le proprie condizioni di disagio (economico, certo, ma più spesso psicologico ed emotivo), i propri fallimenti, la propria miseria materiale ed esistenziale siano inconfutabilmente dipendenti dal numero dei nostri rappresentanti e dagli stipendi che percepiscono.

Ne segue automaticamente che dimezzando il numero di Parlamentari, abolendo le Province, disgregando il Senato, decurtando del 70% lo stipendio dei Consiglieri Regionali, abrogando pensioni, diarie e vitalizi la quotidianità dei suddetti orcoplasti si trasformerà in una perenne, ininterrotta Bengodi, con fontane che sprizzano vini di prim’ordine, vulcani che eruttano tortellini in pozze di burro fuso, fiumi di latte e miele, Ferrari vendute al prezzo di una Fiat Marea.

Assistiamo quindi ad una hit-parade di fenomeni antropologici niente male che, assommati assieme, denotano la medesima tensione alla sopravvivenza riscontrabile in una falena in rotta di collisione con una lancia termica: 1) La auto-deresponsabilizzazione: io non ho colpa di nulla. La politica è comunque responsabile di tutto. Del fallimento del mio bar/impresa/industria. Del fallimento del mio matrimonio. Del conto del carrozziere. Della mafia (genericamente). Dell’inquinamento. Dei “diritti” che mancano. Dei maremoti. Tutto, insomma.

2) Il malcelato, costante livore verso chi ha di più, anche se legittimamente, anche se io possiedo già moltissimo: quindi non vedo l’ora di veder trascinato nel fango e in miseria il Senatore da 18.000 Euro mensili, il manager pubblico (sicuramente raccomandato e colluso con qualcuno/qualcosa/varie&eventuali) da 900.000 Euro l’anno, l’Avvocato di successo da 180.000 Euro a parcella. Il denaro è moralmente sbagliato quando sta nelle tasche altrui: le uniche tasche “eticamente corrette” per contenere determinate somme sono le mie.

3) Disintegrando la mia capacità di elettore attivo (il mio Diritto di voto, per i non giurisperiti), ovvero smantellando completamente il sistema articolato e ramificato di controllo politico territoriale, esercitato attraverso l’elezione di rappresentanti conosciuti e conoscibili poiché “vicini di casa”, tutto sarà più “efficiente”, più “libero”, più “economico” e, in sovrappiù, “daremo anche una bella lezione” a quei mangiapane a tradimento dei Consiglieri Provinciali.

Fantastico. Oltre al cazzo il nostro beneamato coglione ha chiuso pure la lingua nella suddetta cassettiera, facendo pure sfumare la possibilità d’un tenue cunnilingus a vantaggio della sempre più sventurata moglie.

Riguardo all’ultimo punto, un dato, così per dire, in riferimento alla tanto acclamata abolizione delle Province: costo d’esercizio annuale della Provincia di Genova, circa 270 milioni di Euro. Di questi, secondo voi, quanti erano spesi per gli stipendi di Giunta e Presidente nonché per i gettoni di presenza dei Consiglieri (i quali non percepivano stipendio fisso)? Non lo sapete? Beh, ve lo dico io: circa 670.000 Euro. Ovvero la rappresentanza POLITICA provinciale costava lo 0,248% del bilancio d’esercizio. Un risparmio FE-NO-ME-NA-LE, che ha indubitabilmente arricchito tutti i Genovesi, tenendo conto che tutto il personale amministrativo provinciale con annessi e connessi, trattandosi di dipendenti pubblici, è stato doverosamente, come legge prevede, ricollocato tra Comune e Regione, mantenendo sostanzialmente intatto il regime di spesa e denegando al contempo la possibilità per i Genovesi di sapere a chi lanciare uova marce in caso di insoddisfacente rappresentanza. Un piccolo, certamente, ma significativo decremento dei nostri diritti.

Ma, almeno, a quei ladri (0,248%. Zerovirgoladuecentoquarantottopercento. Manica. Di. Insopportabili. Coglioni) gliele abbiamo cantate…

In riferimento alla auto-deresponsabilizzazione, nulla di nuovo sotto al Sole: dai tempi del “manipulitismo” e dell’empio lancio di monetine davanti all’Hotel Raphael non è cambiato molto. L’attitudine qualunquistico/depressiva del nostro deficiente medio, il quale, per dire, non crede più in Dio ma nella “co-sti-tu-zio-ne” (sillabazione sofferta, aspirata e stentorea, mi raccomando, se no non funziona…), nel “rispetto” (esattamente come i mafiosi: né più né meno) e si pregia, magari pure mettendolo in curriculum, di aver frequentato “l’università della vita” (sic), ha semplicemente carburato la “magistratura d’assalto”, la quale ci ha “regalato”, dopo tanto repulisti, una classe politica la cui corruttela ed insipienza è stata di cento ordini di grandezza superiore a quella della Prima Repubblica, ha trasformato i coprogrammi di un malmostoso secchione come Travaglio e dell’onanista carpale Saviano in best-seller, ha trovato libero sfogo e patente di “intellettuale dilettante” tramite i telegrammi di Twitter, si è messo il suo bravo anello al naso e, non parendogli vero poiché da sempre frustrato di merda, si è festosamente aggregato alla ciurma telematico-bovina condotta magistralmente dal Pifferaio di Sant’Ilario: colui che per primo li disprezza e li deride. Tutti. Dal primo all’ultimo. Senza eccezioni.

Sul livore economico l’autocastrazione raggiunge vette che manco i sacerdoti consacrati a Cibele: sbraitando alti lai su “giustizia sociale!” e “redistribuzione!” e “basta pensioni d’oro!” il “nostro” ha spianato la strada a colossali farabutti (da Visco a Padoa Schioppa passando per Prodi) che gli hanno generosamente dato il contentino di sfasciare l’odiata classe media, agli occhi foderati di sterco del terminal coglione artefice d’ogni male (“Gli insegnanti, poi, che lavorano solo 18 ore la settimana e rubano lo stipendio…” : quante volte ho dovuto trattener pugni di cemento al sentir tali borborigmi…) pur magari facendone lui stesso parte. E se oggi si lagna di “non-arrivare-a-fine-mese” non posso che mandar la mia (già scarsissima) Carità Cristiana momentaneamente in aspettativa e colui a fare in culo tra fischi e sonore pernacchie.

Ergo: questo è l’identikit medio non tanto, almeno spero e credo, di quanti vorranno votare “si” all’imminente referendum, quanto più di coloro i quali ritengono convintamente che un’ulteriore deficit di rappresentanza giovi a questo paese. Solitamente per le ignobili ragioni di cui abbiamo qui dato conto.

Laddove, anzi, un aumento sensibile e significativo del controllo politico territoriale, del decentramento amministrativo, della responsabilizzazione del cittadino attraverso l’esercizio, anche capillare, della rappresentanza è l’unica, la sola strada che potrebbe (sottolineo: POTREBBE) migliorare le condizioni del nostro disastrato tessuto economico-sociale, essendo passaggio obbligato per riappropriarci di territorio e spazio vitale, per risolvere una emergenza sicurezza senza precedenti, per garantire, forse e potenzialmente, servizi più efficienti e “controllati”, per reprimere sul nascere emergenze pericolose e, al contempo, per sintonizzarsi in maniera fattiva ed efficace con la Comunità di cui si è rappresentanti e che, grazie a Dio, nel nostro paese è una entità unica e irripetibile rispetto alle altre Comunità, anche se limitrofe. Realtà non sovrapponibili, già da Comune a Comune: figuriamoci da Regione a Regione.

L’esatto opposto, senza punti di contatto possibili, rispetto a quanto l’europesimo militante propala come dottrina unica e omnicomprensiva, dottrina della quale la “riforma” in oggetto è figlia pienamente legittima.

Lasciateci il Senato, quindi, e tenetevi il vostro cazzo di Erasmus, apolidi senza Dio.

E, ovviamente, andate a fare in culo.

 

Ad maiora